Nel corso degli ultimi decenni, l’Italia è stata investita da un processo di privatizzazioni e dismissioni delle proprie partecipazioni statali – come parte di un più ampio piano di riforma economica e di risanamento delle finanze pubbliche – dovuto ad un notevole crollo dei conti delle aziende partecipate.
Gli anni ’90: l’era delle privatizzazioni
In particolare, il boom si è verificato a partire dagli anni ’90 in seguito ad una significativa impennata del debito pubblico, che superò di ben oltre il 120% del PIL. Tuttavia, il programma di privatizzazioni iniziò già negli anni ’80, con le cessioni di Alfa Romeo, FIAT e Lanerossi al gruppo Marzotto, e coinvolse successivamente l’Istituto Mobiliare Italiano (IMI), l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni (INA) e tre banche nazionali (Banca Nazionale del Lavoro, Banca Commerciale Italiana e Banco di Sicilia) che appartenevano all’IRI. Tra il 1992 e il 2005 il processo di privatizzazioni coinvolse circa 30 aziende pubbliche, generando un incasso per lo Stato di circa 100 miliardi di euro. L’uscita dello Stato dal settore bancario si completò definitivamente con la cessione della BNL nel 1998 e del Mediocredito Centrale nel 1999, operazioni che si attuarono con la riforma della legislazione bancaria avviata con l’emanazione del Testo unico in materia bancaria e creditizia (D.lgs. 385/1993), che abolì la distinzione tra credito a breve e credito a medio-lungo termine, favorendo l’affermarsi anche in Italia del modello della banca universale.
Privatizzazioni, il Governo Meloni e la Sfida di 20 Miliardi entro il 2026
Negli ultimi anni, al contrario, si è in parte registrato un rallentamento del programma di privatizzazioni con un rinnovato interesse al pubblico. Tuttavia, il Documento di Economia e Finanza 2023, approvato dal Governo Meloni, prevede l’afflusso nelle casse dello Stato di 20 miliardi di euro entro il 2026, in seguito a vendite totali o parziali di aziende pubbliche. In particolare, il progetto prevede l’entrata di ben 920 milioni dovuti dalla cessione sul mercato del 25% di Montepaschi Siena, che dopo un periodo di nazionalizzazione dovrebbe ritornare privata. Al concorso del raggiungimento di 20 miliardi di euro rientra la vendita anche del 29% di Poste Italiane e del 4% di ENI, per un corrispettivo pari a 6 miliardi di euro; non solo, è prevista anche una eventuale vendita del 49% di Ferrovie dello Stato e del 28% di Enav. Il programma ambizioso porterebbe il debito ad ammontare al 139,6% rispetto al PIL nel 2026 contro il 140,6% che al contrario si verificherebbe se non si riuscissero a conseguire i 20 miliardi di euro previsti dal Governo.
Il caso ITA Airways – Lufthansa: il passaggio dalla Nazionalizzazione alla privatizzazione
Tra gli ultimi casi di privatizzazione rientra quello di ITA Airways, compagnia di bandiera italiana, controllata al 100% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che nel 2021 ha sostituito Alitalia. In seguito all’approvazione da parte della Commissione Europea degli accordi tra le due compagnie a difesa dei competitor su alcune rotte, Lufthansa verserà dapprima 325 milioni di euro per acquisire il 41% dell’azienda e successivamente altri 325 milioni per rilevare un ulteriore 49%. Nel 2028-2029 la compagnia tedesca valuterà se investire 79 milioni di euro per acquisire la restante parte (10%) di ITA Airways. La decisione di privatizzazione si è verificata a causa delle notevoli e durevoli perdite della società di trasporti, costringendo lo Stato italiano ad intervenire nel corso degli anni diverse volte, per una spesa complessiva pari a 11 miliardi di euro. Molteplici sono stati i tentativi di recupero e di salvataggio della compagnia nazionale, asset importante e strategico per il Paese; Tuttavia, nonostante la rinazionalizzazione e il passaggio a ITA Airways, nonché il coinvolgimento di alcuni investitori privati, il processo di privatizzazione è risultato comunque inevitabile.
Dunque, l’attuazione del processo di privatizzazioni ha determinato per il nostro Paese una fonte di entrate che ha contribuito alla riduzione del debito pubblico e al raggiungimento di una maggiore efficienza operativa con un innalzamento della qualità dei servizi, grazie anche agli ingenti investimenti tecnologici. D’altra parte, tale piano solleva anche diverse preoccupazioni legate alla perdita sia di controllo che di risorse strategiche, nonché ai peggioramenti delle condizioni di lavoro, con conseguente aumento degli inoccupati.