C’era un tempo in cui la leadership si misurava in numeri: margini di profitto, aumento di produttività, obiettivi trimestrali raggiunti. Oggi quella visione appare sempre più miope. Una nuova generazione – la Gen Z – sta ridefinendo in modo radicale il concetto di impresa e di chi la guida. Al centro non c’è più solo il “quanto si produce”, ma “come” e “perché”. È la traiettoria che si muove tra economia, equità e futuro: tre vertici di un nuovo triangolo strategico su cui si gioca la leadership di domani.
La Nuova leadership
Il mito del “work hard, play never” si sgretola. Per la Gen Z il benessere non è un lusso, ma un indicatore di salute individuale e collettiva. Cresciuti tra crisi climatiche, pandemie e instabilità economiche, i nuovi leader rifiutano modelli aziendali che premiano la produttività a scapito della salute mentale.
In questo scenario, guidare significa creare ambienti di lavoro umani: flessibili, inclusivi, capaci di ascolto. La nuova leadership non si esercita con direttive dall’alto, ma nella capacità di costruire senso e sicurezza psicologica, dove il tempo per sé non è visto come una fuga, ma come un valore.
La figura del leader-eroe, solitario e infallibile, ha fatto il suo tempo. Oggi la leadership è un processo distribuito, fatto di ascolto, collaborazione e visione condivisa. Non si guida più “da sopra”, ma “da dentro”.
La diversità di background – culturale, generazionale, disciplinare – non è un ostacolo, ma un enhancer di innovazione. Il leader del futuro è colui che sa costruire contesti dove ogni voce ha spazio, dove il confronto è parte del processo creativo.
Per la Gen Z, inoltre, il tempo è una valuta più preziosa del denaro. Lo è perché è limitato, fragile, e – a differenza di un bonus – non può essere rimborsato da nessuno. Le nuove generazioni valutano la qualità di un impiego anche (e soprattutto) sulla base del tempo che lascia per vivere, imparare, esplorare.
Il successo, dunque, non si misura solo in crescita verticale, ma anche nella capacità di conciliare vita e lavoro, nel tempo dedicato ai progetti personali, nella libertà di scegliere. Una sfida che impone alle imprese un nuovo paradigma organizzativo.
Ma è importante individuare un ulteriore elemento di novità: in un mondo incerto, la capacità di fallire è diventata una competenza chiave. La leadership che si forma oggi non può essere fondata sull’infallibilità, ma sulla capacità di apprendere, adattarsi e ricominciare. Le nuove generazioni non temono l’errore: temono la rigidità.
I contesti che accettano il fallimento come parte del processo creativo sono quelli dove si innova di più, si sperimenta di più, si cresce davvero. Per questo le nuove forme di leadership valorizzano la vulnerabilità come leva per costruire fiducia e autenticità.
Dall’impresa produttiva all’impresa generativa
Se prima l’azienda era una macchina da profitto, oggi deve essere anche un agente di trasformazione sociale. L’impact economy non è più una nicchia per idealisti, ma una leva strategica per attrarre e trattenere i talenti. Chi entra oggi nel mondo del lavoro cerca imprese che abbiano una purpose chiara, autentica e operativa.
Non bastano più le “mission” stampate sui siti corporate. Serve coerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa. È per questo che modelli come Patagonia, Too Good To Go o le B Corp guadagnano in reputazione e valore. Le aziende generative sanno che creare impatto – ambientale, sociale, culturale – è la nuova frontiera della competitività.
In Italia, l’equità non è solo una questione morale. È una sfida concreta. Il calo delle nascite e l’aumento dell’aspettativa di vita stanno cambiando la composizione sociale e produttiva del Paese. Meno giovani, più anziani, nuovi bisogni e nuovi modelli da immaginare.
Questo impone una ridefinizione dei settori produttivi, ma anche delle priorità politiche, previdenziali e formative. In un contesto così, escludere persone o intere categorie (per età, genere, etnia, condizione sociale) non è solo sbagliato: è insostenibile.
Accogliere la pluralità non è solo un valore etico. È una strategia di sopravvivenza economica. Una società inclusiva valorizza il contributo di tutti e, così facendo, cresce e si arricchisce essa stessa. E quindi più resiliente, più creativa, più produttiva.
Educare all’impatto: il ruolo delle Junior Enterprise
La leadership del futuro non sarà né più “soft” né più “hard”. Sarà più complessa, più umana, più integrata. Dovrà tenere insieme economia e impatto, benessere e visione, pluralità e produttività. Perché in un mondo che cambia così in fretta, la vera competenza è saper cambiare insieme a lui.
In questo scenario, il mondo delle Junior Enterprise gioca un ruolo cruciale. Non sono solo palestre di competenze tecniche, ma spazi in cui si sperimenta in anticipo un modo nuovo di fare impresa. Orizzontale, etico, consapevole.
Nelle Junior, i giovani non apprendono solo come gestire un progetto. Imparano a collaborare, ad assumersi responsabilità collettive, a generare impatto. A guidare non per potere, ma per visione.