Dove si formano coscienze e si orientano decisioni: il percorso di Matteo Cosulich 


“A ognuno di noi sono stati dati dei talenti. Io cerco di mettere il mio a servizio della società.”  Così  esordisce  Matteo  Cosulich,  Professore  ordinario  di  Diritto  costituzionale  e  pubblico presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento. Continua: “Mi piace applicare  quello che studio, conosco e insegno, apportando utilità alle istituzioni e alla Repubblica.” 

Il professore è infatti una di quelle figure che ha fatto della competenza una forma di servizio  civile.  Oltre  a  condurre  le  sue  lezioni  in  aula,  partecipa  a  commissioni  di  studio,  viene  periodicamente audito in Parlamento – su temi come la legislazione elettorale o il voto degli  italiani all’estero – e ha offerto consulenza normativa anche nell’ambito della revisione dello  Statuto della  Provincia  Autonoma  di  Trento,  su  richiesta  del  Consiglio  provinciale.  La  sua  storia e il suo percorso rappresentano un esempio di chi non ha seguito la strada più semplice,  ma quella che più corrispondeva a ciò in cui credeva. 

Il doppio binario che contraddistingue il suo mestiere – tra accademia e istituzioni – è frutto  di un impegno costante e di una vocazione profonda, in cui la conoscenza viene arricchita  dalla pratica, evitando di restare chiusi nella torre d’avorio del mondo accademico. 

Cosulich  ci  racconta il  valore  che  attribuisce  al  contatto  con  gli  studenti,  che lo  aiutano  a  rimanere connesso alle evoluzioni sociali. Il suo approccio all’insegnamento è improntato a  una formazione critica, non solo tecnica: “Vedo l’università come un luogo che forma buoni  cittadini, non solo professionisti.” 

Ripercorrendo il suo cammino a ritroso, emerge come quello che fa oggi sia il frutto di una  direzione chiara e un obiettivo preciso, già presenti  fin dall’inizio. Il suo percorso parte da  una laurea in Scienze Politiche presso l’Università di Genova, prosegue con un dottorato in  Diritto costituzionale all’Università di Bologna, per poi arricchirsi con esperienze di ricerca e  perfezionamento  a  Paris  II  – Panthéon-Assas  e  presso  la  LUISS  “Guido  Carli”.  Ci  tiene  a  sottolineare che lo studio, per lui, non è mai stato un peso, e ricorda con naturalezza il fatto  di aver superato quindici esami su ventidue con la votazione di trenta e lode. 

Eppure, nonostante avesse già chiaro il suo interesse per le istituzioni e il diritto pubblico, vi  sono  state  strade  alternative  che  ha  valutato  e  poi  scelto  di  non  seguire:  la  carriera  diplomatica, o un percorso più legato alla sua storia  familiare, nel settore del brokeraggio  marittimo. “Ho sempre dato priorità alla passione,” afferma. In questa, Cosulich intravede la  chiave  per  costruire  un  percorso  autentico.  Il  successo,  ci  tiene  a  precisare,  è  qualcosa  di  soggettivo: “Il lavoro occupa una parte enorme delle nostre vite, e per questo la scelta va fatta  con attenzione, non solo in base alla convenienza.” 

Nel  suo  percorso  non  mancano  figure  che  hanno  lasciato  un’impronta  duratura.  Alcune  provengono  dall’ambito  accademico  – come  il  professor  Renato  Balduzzi,  giurista  e  già  Ministro della Salute nel governo Monti, e l’amministrativista Giandomenico Falcon, entrambi  esempi di rigore e impegno pubblico. Altre presenze, più personali, hanno alimentato la sua sensibilità  civile  ed  etica.  È il  caso  di  Bernardino  “Dino”  Gallo,  figura  riservata  e  schietta,  conosciuta  nel  contesto  dell’impegno  politico  locale.  Oppure  il  legame  con  una  comunità  missionaria, che – pur senza portarlo fisicamente nei Paesi del Sud globale – gli ha trasmesso  un forte senso di giustizia sociale, trascendenza e rispetto per chi si spende per gli altri. 

In tutte queste esperienze, Cosulich riconosce un filo conduttore: l’idea che il sapere, se non  si mette a servizio, si svuota. Una lezione che continua a guidarlo ogni volta che scrive un  parere tecnico, partecipa a una commissione o entra in aula. 

Alla domanda su cosa consiglierebbe a uno studente ancora incerto, il professore torna con  forza su un punto: la passione deve essere la guida. “Spesso la passione nasconde un talento.  E  ciò  che  ci  appassiona  pesa  meno,  anche  quando  richiede  dedizione.”  È  per  questo  che  guarda con sospetto a chi sceglie un percorso solo in base a criteri di redditività o “sicurezza”.  Piuttosto, invita a guardarsi dentro, fin dall’università, e cercare un allineamento tra ciò che  ci piace e ciò che potremmo diventare. 

Allo  stesso  tempo,  riconosce  quanto  oggi  sia  difficile  capire  se  l’idea  che  abbiamo  di  una  professione corrisponda alla realtà del mestiere. E qui sottolinea l’importanza del confronto,  anche informale: “Oggi abbiamo strumenti che rendono molto più semplice confrontarsi con  chi  ha  già  intrapreso  un  certo  percorso.  E  spesso  si  trovano  professionisti  disposti  a  condividere la propria esperienza in modo autentico e disinteressato.” 

La passione, aggiunge, va coltivata nel tempo: richiede studio, attenzione, rinnovamento. È  anche per questo che ha frequentato un corso di public speaking con un attore teatrale – per  affinare le sue capacità comunicative in aula, sapendo che ogni lezione è un’occasione per  imparare anche da chi ascolta. 

A entusiasmarlo ancora oggi, dopo tanti anni, non sono grandi riconoscimenti o palcoscenici.  Sono momenti semplici ma densi: una prima lezione davanti a un’aula piena, un’audizione in  cui la sua voce conta, lo sguardo attento degli studenti. 

Alla fine, più che scegliere una carriera, si sceglie un modo di stare nel mondo: con curiosità,  con rigore, e con il desiderio di far dialogare studio e realtà. È in quello spazio, tra pensiero e  azione, che si costruisce un percorso: non perfetto, forse, ma autentico e coerente.

© RIPRODUZIONE RISERVATA