Non solo aule, ma un ecosistema in cui si cresce davvero: il progetto di Michele Fabrizi al dSEA


Ci sono percorsi che non si scelgono per caso, ma perché si riconosce in essi qualcosa che risuona profondamente con ciò in cui si crede. Quando un luogo smette di essere solo il contesto in cui si è cresciuti e diventa lo spazio in cui costruire futuro, allora restare non è una rinuncia, ma un atto di fiducia e responsabilità. Per Michele Fabrizi, neo eletto Direttore del dSEA, Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali “Marco Fanno” dell’Università degli Studi di Padova, questa è la direzione seguita fin dall’inizio: fare dell’università un ambiente di relazioni autentiche, di progettualità condivisa e di crescita collettiva. Un percorso cominciato tra le aule, maturato negli anni, dentro una comunità che oggi è chiamato a guidare.


Una carriera costruita tra fedeltà e apertura

Non capita spesso di vedere un ex studente tornare “a casa” con le chiavi della direzione in mano. Eppure è ciò che è accaduto con Michele Fabrizi. La sua inclinazione di carriera si è manifestata fin da giovane, con una doppia laurea con lode in Economia Aziendale, un dottorato, un periodo di perfezionamento alla Boston University e una borsa di studio alla University of Chicago. Il suo percorso avrebbe potuto prendere direzioni differenti, ma ha scelto di restare, in virtù del legame profondo consolidato nel tempo con il Dipartimento che lo ha cresciuto.

Vivere l’università da prospettive internazionali, infatti, non lo ha allontanato dalle sue origini, ma gli ha fatto comprendere con maggiore lucidità quanto valore ci fosse già in ciò che aveva ricevuto.

“La scelta di restare non è mai stata dettata dalla comodità. Al contrario: cerco sempre di portare qui le best practice viste fuori, adattandole alla nostra realtà.”

Il contesto accademico estero lo ha stimolato, ma non spaventato: 

“Non ho percepito un gap di preparazione. Anzi, ho trovato conferma della grande qualità degli studi svolti fino a quel momento.” 

Un’affermazione non scontata, che restituisce fiducia nella solidità del percorso formativo compiuto a Padova.


dSEA: una visione di eccellenza condivisa

Il Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali dell’Università di Padova non è una semplice struttura accademica, ma un vero e proprio ecosistema. Al suo interno convivono e si integrano diverse branche dell’economia creando un ambiente dinamico e stimolante. Questo equilibrio tra discipline diverse è stato confermato dall’accreditamento EQUIS, un prestigioso riconoscimento internazionale conferito a meno dell’1% delle business school nel mondo, che attesta l’eccellenza in ambiti come internazionalizzazione, qualità didattica, ricerca e collegamenti con il mondo imprenditoriale.

In questo contesto già consolidato, la nomina di Michele Fabrizi alla direzione non segna un punto di partenza, ma di continuità. Il nuovo direttore, infatti, raccoglie un testimone importante, con l’obiettivo di rafforzare quanto già costruito e orientarlo verso nuove traiettorie. La sua visione si innesta su basi solide, e guarda avanti mantenendo salda una cultura dell’eccellenza già profondamente radicata.

“Devo ringraziare la professoressa Paola Valbonesi, che mi ha preceduto e ha saputo innovare e rafforzare il dipartimento. Io eredito una struttura che funziona, e il mio compito sarà quello di mantenerne l’eccellenza, aprendola ancora di più al mondo.”

E anche la sua idea di leadership è lontana dalla retorica del comando: è cura, coordinamento, impegno.

“Il direttore non è il CEO di un’azienda sua che ha fondato. Il direttore coordina un dipartimento che è di tutti. Lo deve restituire alla comunità, dopo averci messo tutto se stesso.”


Associazionismo e Terza Missione: la vera differenza tra un’università che forma e una che trasforma

Uno degli assi portanti della visione di Michele Fabrizi è l’importanza della terza missione universitaria, con particolare focus sull’associazionismo studentesco. Quest’ultimo non è, a suo avviso, un’attività accessoria o collaterale. Al contrario, è una componente essenziale per costruire senso di appartenenza e attivare dinamiche di partecipazione autentica. 

 “ Rispetto ai tempi in cui ero io studente, questa dimensione si è evoluta moltissimo. L’ho vista crescere e penso che abbia due ruoli fondamentali. ”

Il primo è legato alla sfera dell’identità collettiva.

 “ Avere studenti e studentesse che si identificano nel Dipartimento è fondamentale. Quando diventeranno alumni, se ne ricorderanno. E collaboreranno, assumeranno studenti, saranno parte attiva della comunità. ”

Il secondo riguarda la formazione personale.

 “ Queste sono poi esperienze che coltivano quelle skills trasversali di cui tanto si parla e che sono fondamentali, soprattutto al giorno d’oggi.” 

Competenze trasversali quali collaborazione, project management, gestione dell’incertezza e assunzione di responsabilità maturano, infatti, in ambienti informali ma strutturati, caratterizzati da dinamiche orizzontali ed esperienziali come quelle delle associazioni studentesche. In questi contesti lo studente apprende attraverso la pratica, si confronta con i pari e mette alla prova le proprie capacità in un processo di crescita personale e professionale.

 “ È peer-to-peer, ed è questo che lo rende così autentico. Non è qualcosa di calato dall’alto: è una costruzione collettiva, un’energia che parte dagli studenti e finisce per coinvolgere tutti.” 

Ma l’associazionismo, per Fabrizi, assume oggi anche una valenza sociale più profonda. In un’epoca segnata da individualismo crescente, isolamento e frammentazione, le realtà studentesche rappresentano un antidoto concreto.

 “ Vedo sempre più studenti che vivono la propria esperienza in modo isolato. Forse è l’effetto del Covid, forse di un cambiamento sociale. Ma penso sia un vero peccato.”

E lancia un monito che è al tempo stesso una dichiarazione d’intenti:

“ Rinunciare alla vita universitaria è rinunciare a qualcosa che è molto più del semplice studio. Non è solo apprendimento, è vita.”  

Un’affermazione che trova riscontro anche nei fatti.

“Per esempio, vedere oltre 300 studenti venire di sabato mattina per partecipare all’Hackathon di Ragioneria, che ogni anno organizziamo… ti fa capire che qualcosa è passato.” “Questi progetti sono la dimostrazione concreta che quando dai agli studenti spazi per esprimersi, loro rispondono. Anche di sabato mattina, da sei anni consecutivi.”

Attraverso l’associazionismo e la terza missione, quindi, l’università si trasforma davvero in una palestra di comunità. Non si limita a trasmettere contenuti: accompagna le persone a diventare protagoniste consapevoli del proprio percorso. Ed è proprio in questo passaggio, dalla formazione alla trasformazione, che secondo Fabrizi si gioca la sfida educativa più attuale.


Individui, non solo numeri di matricola

Per Michele Fabrizi, insegnare non significa solo trasferire contenuti o valutare conoscenze. Significa anche e soprattutto prendersi cura del percorso degli studenti, riconoscerne l’impegno e accompagnarne lo sviluppo attivamente. Al centro, c’è una didattica che si fonda sul rispetto reciproco, sulla preparazione rigorosa e sull’ascolto.

 “Anche se nelle aule grandi non è possibile avere una relazione personale con tutti, è fondamentale che ogni studente senta che il docente è lì anche per lui.” 

Non si tratta, dunque, solo di strutturare lezioni efficaci, ma di trasmettere attenzione attraverso ogni gesto: la progettazione dei contenuti, la conduzione dell’aula, la correzione degli elaborati.

 “Tenere a mente che dietro ogni compito c’è una persona che ci ha messo impegno. Anche questo per me è rispetto.” 

È una visione della didattica che rimette al centro la figura dello studente come soggetto centrale, dotato di storie, inclinazioni e ritmi differenti. Da qui nasce anche un invito, più esistenziale che metodologico: quello a non trasformare il percorso universitario in una rincorsa sterile, ma a viverlo come tempo di formazione a trecentosessanta gradi.

 “È fondamentale vivere gli anni universitari con serenità. Perché puoi anche essere il primo della tua coorte, ma se non hai vissuto quegli anni con crescita anche personale, non ti sei portato via tutto ciò che l’ambiente aveva da offrire.” 

L’esperienza universitaria, nella prospettiva di Fabrizi, non è una linea retta verso un obiettivo, ma un processo aperto, fatto anche di inciampi e maturazioni graduali.

 “ Ognuno ha delle attitudini diverse, delle storie personali diverse. Bisogna accettarlo, rispettarlo, e andare avanti col proprio ritmo.” 

In questo senso, l’università torna ad assumere il suo ruolo originario: non solo fucina di competenze, ma ambiente di crescita integrale, in cui si formano persone prima ancora che professionisti. Una trasformazione che si concretizza non solo attraverso progetti o numeri, ma anche, e soprattutto, nella qualità della relazione educativa.


Crescere e costruire, insieme

Ci sono luoghi che non insegnano soltanto nozioni, ma insegnano a diventare. Dove ogni relazione, ogni scelta, ogni progetto lascia un segno. In quella fitta trama di persone, idee e possibilità si costruisce il vero significato dell’università. E in quella fitta trama di relazioni, contenuti e cura educativa, l’università può tornare ad essere ciò che promette: un luogo dove non ci si limita a formare, ma si impara anche a diventare.


Il Consiglio di Amministrazione di Economics Network desidera rivolgere un sincero in bocca al lupo al Professor Michele Fabrizi per il suo nuovo incarico come Direttore, certo che saprà guidare il Dipartimento di Scienze Economiche Aziendali con passione e dedizione. Un sentito grazie va anche alla Professoressa Paola Valbonesi, per il suo straordinario impegno e per tutto il lavoro prezioso svolto fino ad oggi, che ha lasciato un’impronta importante e solida su cui costruire il futuro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA