Francesca Albanese è Relatrice Speciale ONU sui Territori Palestinesi Occupati, Senior Adviser dell’organizzazione del Rinascimento Arabo per la Democrazia e lo Sviluppo e Ricercatrice dell’ Istituto per lo Studio della Migrazione Internazionale della Georgetown University di Washington. Alle spalle, venti anni di carriera nell’ambito dei diritti umani, della democrazia e dello sviluppo internazionale, nonché una vasta quantità di studi e articoli scritti per le più importanti università e istituti mondiali. Il 16 giugno 2025 pubblica un report intitolato: “Dall’Economia di occupazione a un’ Economia di Genocidio”, in cui denuncia la complicità di numerose aziende ed entità del terzo settore nell’occupazione dei territori palestinesi, esponendone i meccanismi economici e le implicazioni sulla guerra a Gaza. Dura è la reazione del governo statunitense: dopo poco più di una settimana, con un ordine esecutivo del presidente Trump le sono imposte ingenti sanzioni e congelati i beni suoi e dei suoi familiari più prossimi in America.
Il trattamento riservato dal governo USA a Francesca Albanese è un segno indistinguibile della rivoluzione che sta avvenendo nella geopolitica contemporanea. Diciamocelo: le sanzioni si danno ai Paesi, alle organizzazioni terroristiche, insomma, a delle entità statali o para-statali caratterizzate da un qualche agglomerato istituzionale che le tiene in vita, siano esse riconosciute o meno dalle nazioni circostanti. In questo caso no. Ora il target è un individuo, una relatrice ONU. Come è possibile? Per fare chiarezza, pensiamo all’inizio della Guerra in Ucraina. Allora agli Oligarchi russi vennero congelati gli asset finanziari in UE, vietato l’ingresso o il transito nel territorio europeo, colpite le banche e le imprese di proprietà. La motivazione di quelle sanzioni è da ricercare nel potere economico che i più importanti uomini d’affari al di là del Mar Nero hanno per le mani (non per nulla si chiamano oligarchi). Ma Francesca Albanese, che potere ha?
La figura dello Special Rapporteur sui Territori Palestinesi Occupati venne istituita nel 1993, e se questo ruolo ha assunto la rilevanza che ha oggi è proprio grazie ad Albanese, la cui fama risale a ben prima del suo ultimo report. Un intenso e documentatissimo lavoro di ricerca e studio, tra cui spicca l’analisi sui rifugiati palestinesi secondo il diritto internazionale, e una forte attività di sensibilizzazione sui fatti di Gaza ha reso Francesca Albanese popolarissima, nel Vicino Oriente e oltre. La sua importanza sta nell’ aver dimostrato che le Nazioni Unite possono essere ancora una piattaforma di comunicazione rilevante per il panorama mondiale, una piattaforma da cui lanciare inchieste di un certo peso, tali da provocare in America la reazione a cui abbiamo assistito. “Da un’ Economia di Occupazione a un’ Economia di Genocidio”, inoltre, ha definitivamente comprovato la teoria per cui i rapporti di forza internazionali non possono essere spiegati solo tramite il comportamento dei cosidetti attori “istituzionali”. A muoversi sullo scacchiere della geopolitica, infatti, ci sono ora nuovi player, individui o compagnie private in grado di accumulare un potere economico, politico, militare o mediatico tale da rappresentare una minaccia per gli stakholder tradizionali, che si vedono costretti a mettere in campo misure
sanzionatorie per tutelare i propri interessi. In verità, si potrebbe dire che senza il ruolo di Relatrice Speciale, l’impatto del lavoro di Francesca Albanese sarebbe stato diverso. Ma bisogna anche ammettere che l’influenza delle indagini e dei report emessi per conto delle agenzie ONU è in declino da tempo, e che tali organizzazioni stanno perdendo sempre più terreno di fronte alla tendenza delle Grandi Potenze a scavalcare il diritto internazionale. L’ipotesi che la notorietà e il potere acquisito da Albanese sia una diretta conseguenza del suo incarico è quindi da scartare.
Com’è risaputo, dopo il 7 Ottobre la questione palestinese è diventata un affare di portata planetaria. Tutti ne parlano, tutti se ne sono fatti un’ opinione e le divisioni che essa ha creato si sono diffuse ovunque. La massiccia copertura mediatica del conflitto – con cui può competere solo la Guerra in Ucraina – ha fatto emergere una vasta quantità di personaggi che, spesso senza titoli né formazione sulla vicenda, si esprimono periodicamente sui moderni canali di comunicazione. A ben pensarci, la stessa cosa accadde ai tempi del Coronavirus. Anche in quel caso ci si trovava di fronte a un fenomeno di portata mondiale e il forte interesse nei confronti della vicenda aveva favorito la comparsa di numerose figure pronte a dire la loro sulla Pandemia. Eppure in quel periodo, nonostante alcuni virologi o esperti fossero particolarmente famosi per rappresentare un punto di riferimento a livello nazionale nella spiegazione di quanto stesse succedendo, nessuno mai fu capace di acquisire un’ esposizione e influenza tale da diventare leader con un impatto globale. Lo stesso si sarebbe potuto dire della guerra a Gaza, se non fosse che è stata proprio Francesca Albanese a divenire l’esperta internazionale autorevole e competente a cui molti guardano per fare chiarezza su ciò che accade in Palestina. Appare dunque chiaro che la leader sia lei.
La sua grande abilità è stata quella di riuscire a fornire argomentazioni dotate di un fondamento scientifico all’interno di un dibattito violento e ideologico, fatto di antichi asti, radicalismo religioso e odio. Grazie alla fama dei suoi scritti e all’attenzione generata verso la sua opinione, dunque, Albanese è riuscita ad assumere un ruolo di guida, tanto da essere considerata un pericolo per Washington e Tel Aviv. Strano: non stiamo parlando di Saddam Hussein o Gheddafi, il cui potere militare li rendeva attori fondamentali dello scenario internazionale, né degli Oligarchi russi o di Elon Musk, la cui ricchezza è in grado di compromettere gli interessi di gran parte dei Paesi del Pianeta. A un primo sguardo, quindi, Francesca Albanese non sembrerebbe avere né i mezzi né le risorse per danneggiare nessuno. Ma la sua arma sta tutta nella capacità di fornire una base solida alle motivazioni di quanti si ritrovano nella causa palestinese, fornendo prove e documentando le proprie affermazioni col rigore tipico di un’esperta con vent’anni di carriera. Se così non fosse stato, Albanese sarebbe scomparsa in mezzo all’enorme quantità di opinionisti che si esprimono ogni giorno sulla questione, e non sarebbe stata ascoltata da nessuno.
Bisogna essere realisti: nonostante la grande popolarità assunta dalla studiosa, è difficile pensare che Francesca Albanese possa mai costituire un rischio critico per la
sovranità degli Stati Uniti o di Israele. Quello che è sicuro, però, è che la sua vicenda ha mostrato come le relazioni internazionali siano ormai descritte da una rete di attori ben più complessa di quanto ci si aspetti. In questa rete Paesi, organizzazioni e istituzioni di varia natura devono confrontarsi con individui o compagnie private che dispongono di risorse tali da entrare in competizione con gli altri player. Ed è significativo che una donna priva di un esercito o un capitale alle spalle riesca a raggiungere un potere mediatico e una notorietà così vasti da rilanciare l’attività delle Nazioni Unite proprio nel loro periodo di maggior crisi. Piaccia o no, quindi, Francesca Albanese è un esempio di grande successo, un successo che non si misura nell’utile generato o negli ettari di terra conquistati, ma nell’ impatto sensazionale che le sue opere hanno avuto sul moderno approccio alla questione palestinese.