Nei grandi centri urbani la mobilità condivisa è diventata uno strumento concreto di politica pubblica. A Milano, i report AMAT mostrano una dinamica positiva per i servizi in sharing, con segnali di crescita per bici e monopattini e una riduzione degli ingressi nelle aree a traffico regolato, mentre il bike sharing rimane l’asse più solido dell’offerta cittadina. Il quadro nazionale ne conferma la maturità: secondo l’Osservatorio Nazionale Sharing Mobility, le bici elettriche in free floating sono ormai la quota prevalente della flotta condivisa e i noleggi sono in aumento, a fronte di una riorganizzazione dei monopattini che ha ridotto l’offerta ma non la domanda. In prospettiva ambientale, ISPRA ricorda che il trasporto stradale incide in modo rilevante sulle emissioni climalteranti, perciò ogni spostamento breve sottratto all’auto privata contribuisce a mitigare congestione e inquinamento. 
I benefici sono noti e misurabili. Nei contesti metropolitani i servizi di micromobilità in condivisione favoriscono il primo e ultimo miglio, riducono l’uso dell’auto privata su tragitti brevi e alleggeriscono i varchi delle zone a traffico limitato; a Milano, le serie AMAT 2024–2025 indicano una resilienza del bike sharing e un recupero dell’uso di bici e monopattini nei mesi autunnali, all’interno di una cornice di ingressi in Area B e C in calo. A livello nazionale, il settore mostra segnali di maturazione: cresce il peso delle e-bike condivise, si stabilizzano i noleggi dei monopattini dopo i picchi iniziali e l’incidentalità dei servizi in sharing risulta in flessione rispetto ai lanci più recenti, quando la curva di apprendimento degli utenti era più ripida. Il dato ambientale completa il quadro: il trasporto stradale rappresenta oltre un quinto delle emissioni nazionali, cosicché la sostituzione di tragitti in auto con bici ed e-scooter ha un valore cumulativo sul traffico e sulla qualità dell’aria. 
Accanto ai benefici, i rischi restano significativi e vanno qualificati con rigore. Tra gennaio e settembre 2025, la cronaca lombarda registra più sinistri gravi con monopattini. A Rho, il 15 maggio, un uomo di 62 anni è deceduto dopo lo scontro con un autoarticolato in via Risorgimento, con un’ampia convergenza di fonti. A Milano, nella notte tra il 14 e il 15 giugno, un sedicenne è rimasto gravemente ferito in un impatto laterale con un autobus in zona Comasina. Pochi giorni dopo, il 20 giugno, in corso Sempione, un ventenne ha perso la vita in uno scontro tra monopattino e auto, con il conducente del veicolo risultato positivo all’alcoltest. Questi casi illustrano tre pattern ricorrenti: interazioni critiche con veicoli pesanti, manovre azzardate in prossimità di mezzi del TPL e incidentalità aggravata da condotte illecite di terzi. Va però sottolineato un limite metodologico: le cronache raramente indicano se il mezzo fosse privato o in sharing, dettaglio che impone prudenza nell’attribuzione a specifici operatori. Nel frattempo, le serie nazionali ACI-ISTAT per il 2024 fotografano un aumento dei feriti su monopattini e un numero di decessi superiore all’anno precedente, mentre i monitoraggi di metà 2025 segnalano un trend ancora preoccupante, con vittime censite dalla stampa specializzata e dagli osservatori di sicurezza. 
Nel nuovo assetto normativo, la Legge 177 del 2024 ha introdotto obblighi più stringenti per i monopattini, tra cui casco obbligatorio per tutti, assicurazione di responsabilità civile e contrassegno identificativo, con i decreti MIT del giugno e luglio 2025 che ne disciplinano requisiti e applicazione. Resta da verificare in che misura queste misure, insieme ai poteri
dei Comuni su geofencing e limiti di flotta, siano effettivamente idonee a ridurre il rischio residuo nelle interazioni più critiche osservate in Lombardia. Questo è il punto di passaggio verso l’analisi giuridica che segue. 
Con la Legge 177/2024 il quadro italiano sui monopattini è cambiato in modo netto: casco obbligatorio per tutti, assicurazione RC e contrassegno identificativo sono diventati elementi strutturali della circolazione, tanto per i mezzi privati quanto per le flotte in sharing. I decreti attuativi del MIT pubblicati tra giugno e luglio 2025 hanno poi chiarito come deve essere il “targhino” (materiali, formato, posizionamento) e hanno rafforzato gli strumenti a disposizione dei Comuni: geofencing, limiti di flotta, regole più stringenti su sosta e velocità, soprattutto in aree sensibili.
La spinta regolatoria, però, lascia aperta una domanda semplice: se il casco è obbligatorio, perché gli operatori non lo forniscono? La norma, ad oggi, scarica sull’utente la responsabilità di indossarlo, mentre all’operatore impone assicurazione, contrassegno e rispetto delle condizioni comunali. Fornire il casco non è vietato anzi, è possibile ma comporta tre freni pratici: logistica (stoccaggio, vandalismi, igienizzazione), costi e responsabilità sulla conformità (omologazione UNI EN 1078/1080, taglie, usura). Niente di insormontabile, purché sia messo a capitolato: se la concessione lo richiede, il mercato si adegua.
Seconda domanda, ancora più pragmatica: perché non rendere impossibile avviare la corsa senza casco? Non serve un’altra legge. Bastano regole di servizio. Due strade sono già praticabili:
● Photo-check in app: prima dell’avvio, l’utente scatta una foto; l’algoritmo verifica la presenza del casco (senza riconoscimento facciale). È rapido, scalabile e documentabile. Privacy? Si gestisce con informativa chiara, minima conservazione e DPIA.
● Token “fisico”: un NFC/QR applicato al casco che dialoga col mezzo. Se il token non è presente, il monopattino non si sblocca. È la soluzione più privacy-by-design e riduce il contenzioso (“avevo il casco” vs “non lo avevi”).
Qui entra in gioco la leva locale. Milano e i Comuni lombardi possono imporre uno di questi meccanismi nei bandi e legarli a KPI di sicurezza. Tradotto: attivi il mezzo solo se il “gate casco” va a buon fine; riporti a cadenza trimestrale indicatori verificabili (tasso di corse con check, lesioni craniche per 100mila km, incidenti in prossimità di mezzi pesanti/TPL, tempi di rimozione delle soste irregolari); scattano penali e, se serve, riduzioni di flotta. È lo stesso approccio già usato per il geofencing: compliance-by-design, misurata e pubblica.
Un inciso tecnico, perché conta: se un operatore fornisce caschi, deve garantirne omologazione e tracciabilità dei lotti; se introduce il photo-check, serve una governance dati minimale e trasparente; l’assicurazione RC è condizione di circolazione, non un optional, e il contrassegno va mantenuto visibile e integro su ogni veicolo. Dettagli? Sì. Ma sono i dettagli a fare la differenza quando si passa dal principio alla strada.
Il punto, in Lombardia, non è la norma in più. È l’enforcement intelligente delle norme che abbiamo. Le tre situazioni critiche viste in cronaca interazioni con veicoli pesanti, prossimità dei mezzi del TPL, incidenti aggravati da condotte illecite di terzi si riducono con design del servizio (casco come precondizione tecnica), regolazione mirata (geofencing “duro” su incroci e fermate, limiti dinamici nelle fasce scolastiche) e trasparenza dei risultati (open data, audit indipendenti).
La legge ha fissato i paletti. Adesso tocca alle città e agli operatori che vogliono restare dimostrare che sicurezza e condivisione possono convivere. Non con divieti astratti, ma con regole chiare, verifiche automatiche e numeri sul tavolo.