C’è un dato che nessuna città può più ignorare: la mobilità incide in modo decisivo su clima, competitività e qualità della vita. In Europa il trasporto stradale pesa per una quota rilevante delle emissioni e drena tempo e risorse in congestione, incidenti, smog. Ma la curva sta piegando. La spinta regolatoria (Green Deal, PUMS, zone a basse emissioni), l’evoluzione tecnologica (elettrico, connettività, dati) e soprattutto un cambio culturale guidato da Gen Z e Millennials stanno riscrivendo le regole del muoversi in città. L’auto privata resta utile, ma perde centralità: l’unità di misura diventa l’accesso a un sistema multimodale, non il possesso del mezzo. E non è solo una narrazione: è un mercato. A livello globale la micromobilità vale 40,6 miliardi di dollari nel 2024 e potrebbe raggiungere 91,2 miliardi entro il 2030.
L’Italia è dentro questa transizione, con velocità differenziate. Milano ha dimostrato che pricing della congestione, TPL e ciclabilità riducono traffico e inquinanti; Bologna spinge sul modello “città 30” e sulla bicipolitana; Roma accelera su tram ed elettrificazione dei bus. Nel frattempo l’ecosistema della sharing mobility ha raggiunto massa critica: 81.000 veicoli in flotta, di cui il 95% a zero emissioni; l’86% sono monopattini e biciclette, segno che il “microelettrico” presidia gli spostamenti brevi. Nel 2023 sono stati percorsi poco meno di 200 milioni di km in sharing, con una crescita attesa del +7% nel 2024; il valore del settore ha toccato 178 milioni di euro. Il percorso non è lineare – infrastrutture da completare, governance da coordinare, incentivi più stabili – ma la direzione è chiara: città più vicine, più leggere, più elettriche.
Dentro questo mosaico si è ritagliata un ruolo chiave la micromobilità condivisa. Negli spostamenti sotto i 5 chilometri – la gran parte dei tragitti urbani – monopattini ed e-bike sono spesso la soluzione più rapida e meno impattante, soprattutto se integrati con metro, treni e bus. È qui che player come Lime Italia hanno fatto la differenza: un servizio che esiste quando serve, pagato a consumo, capillare nei quartieri ad alta domanda e in prossimità di stazioni e poli universitari. Nel primo semestre 2024 l’uso dei mezzi Lime in Europa ha evitato oltre 5 milioni di viaggi in auto e 16.000 tonnellate di CO₂. A livello urbano: ~5 milioni di km percorsi a Roma e ~2,5 milioni a Milano nello stesso periodo; in Italia gli utenti Lime hanno eliminato oltre 500.000 viaggi in auto a Roma e oltre 1 milione a Milano. La proposta di valore non è solo ambientale; è convenienza, prevedibilità e tempo. Per l’utente: sbloccare un mezzo in pochi secondi, collegare l’“ultimo miglio” senza attese, evitare l’ansia del parcheggio. Per la città: meno auto circolanti, spazi liberati, dati anonimi e aggregati che aiutano a pianificare la rete.
C’è poi la dimensione generazionale. Per chi ha tra i 18 e i 35 anni, mobilità vuol dire flessibilità: combinare marcia, bici, microelettrico, TPL e – quando serve – car sharing o treno. L’auto non scompare, ma diventa uno dei tasselli. È un cambio di paradigma che le aziende stanno inseguendo con formule “as a service” e che le amministrazioni possono accelerare rendendo semplice la scelta sostenibile: corsie ciclabili continue e sicure, nodi intermodali ben disegnati, sosta regolata, tariffe integrate su un’unica app. Anche qui Lime Italia – insieme ad altri operatori – è un acceleratore: abbassa la barriera d’ingresso (nessun acquisto, nessuna manutenzione), rende tangibile la comodità del microelettrico e offre ai giovani una soluzione coerente con budget e valori.
La rivoluzione non è solo metropolitana. I servizi stanno uscendo dalle grandi città: già nel 2021, per esempio, lo scootersharing contava 25 servizi attivi e 8.900 veicoli 100% elettrici, anche in comuni medio/piccoli del Sud. Oggi si vedono sempre più schemi leggeri per territori a bassa densità: flotte ridotte, operatività stagionale, integrazione con servizi a chiamata (DRT) e tariffe del TPL. È una leva concreta per collegare stazioni regionali, centri storici, scuole e servizi essenziali senza investimenti pesanti; e per i borghi turistici significa mobilità dell’ultimo miglio pulita e regolata.
Il rischio? Fermarsi a metà del guado. Le città che hanno solo “provato” la micromobilità senza infrastruttura e regole chiare hanno sperimentato sosta disordinata e incidenti. Le città che hanno governato il fenomeno – spazi di parcheggio dedicati, standard minimi di servizio, controlli digitali e fisici, dati aperti – hanno ottenuto benefici misurabili. La lezione è semplice: la tecnologia non basta; servono policy intelligenti e una user experience che premi la scelta giusta. In questo, la collaborazione pubblico-privato è essenziale: obiettivi condivisi, KPI trasparenti (sicurezza, utilizzo, sostituzione modale, emissioni), revisione periodica delle licenze in base alle performance.
Guardando avanti, la traiettoria è tracciata. Elettrificazione del trasporto pubblico e privato, micromobilità come standard di quartiere, MaaS per orchestrare i mezzi, logistica urbana a emissioni zero, spazi restituiti a pedoni e commerci di prossimità. Non è utopia: è la logica conseguenza di scegliere la funzione (spostarsi bene) al posto del feticcio (possedere un’auto). In questo scenario, Lime Italia ha l’opportunità – e la responsabilità – di agire da piattaforma abilitante: più sicurezza, più integrazione, più dati utili alle città. Perché la mobilità sostenibile non è un settore a sé: è l’infrastruttura invisibile della competitività e della vivibilità italiane nei prossimi dieci anni. E il momento per accelerare è adesso.