Per molto tempo, dire “mi sono laureato in Lettere” o “studio Filosofia” voleva dire prepararsi a quella domanda scomoda: “E poi che lavoro farai?”.
I numeri raccontano però un’altra storia: il 75,9% dei laureati in discipline umanistiche lavora. E non parliamo solo di insegnamento o biblioteche. Parliamo di lavori veri, spesso ben pagati, dove le competenze che hai studiato per anni diventano improvvisamente preziose.
Il digitale ha smesso di essere territorio esclusivo degli informatici. Oggi servono persone che sappiano raccontare, contestualizzare, dare senso alle cose. E chi meglio di chi ha passato anni a interpretare testi e studiare come ragionano le persone?
Le nuove professioni che rispondono al mercato
Digital curator. Archivista digitale. Cultural data analyst. Nomi che fino a ieri neanche esistevano, se non in contesti lontani. Invece ora sono professioni concrete, anche in Italia, con tanto di annunci di lavoro e stipendi mensili. Sempre più ragazzi lo hanno capito e scelgono corsi che incrociano humanities e tecnologia, arte e design digitale.
Un esempio è Zero Contenuti, agenzia di content marketing culturale fondata da Flavia Scerbo Iose. La sua missione? Aiutare musei, gallerie e fondazioni a comunicare in modo digitale, senza però perdere profondità.
“Zero Contenuti nasce per rispondere a un’esigenza concreta: comunicare l’arte in modo accessibile e contemporaneo, senza tradire la profondità dei contenuti. Sentivamo la mancanza di un linguaggio capace di valorizzare il patrimonio culturale con semplicità, ma senza semplificazioni, integrando creatività e strumenti digitali. Il nostro obiettivo è dimostrare che una formazione umanistica può diventare impresa”, racconta la founder.
Reinventarsi più tardi non è impossibile
Non è solo una questione di ventenni pieni di entusiasmo. Sempre più professionisti a 30, 40, 50 anni scelgono di ricominciare. In Italia ci sono oltre 4 milioni di freelance: tanta libertà, certo, ma anche insicurezze. Stipendi variabili, zero sicurezze, la sensazione costante di non sapere abbastanza di digitale per stare al passo.
“Molti professionisti si sentono esclusi dalla trasformazione digitale, come se non fossero all’altezza”, dice Linda Romani, marketing manager di GetResponse. Ma la verità, secondo lei, è un’altra: non serve diventare influencer per costruirsi uno spazio online. “Non basta più contare solo sui social. Chi vuole davvero posizionarsi con un brand personale solido deve avere spazi digitali propri: newsletter, automazioni, canali dove coltivare una community vera. È lì che nascono i progetti destinati a durare.”
Il futuro è ibrido (e un po’ più umano)
Cultura e digitale non sono nemici. Anzi, si stanno mescolando in modi che fino a poco fa non riuscivamo neanche a immaginare. Agenzie culturali che sfruttano il digitale per valorizzare il patrimonio culturale. Professionisti over 35 che scoprono come raccontarsi attraverso una newsletter. Studenti di filosofia che capiscono che sì, quella laurea può aprire porte, basta sapere dove guardare.
Per chi studia e ha paura di non trovare niente dopo, il messaggio è semplice: non si è fuori dal mercato. Si è esattamente quello che il mercato sta cercando, solo che magari non lo si sa ancora. Per chi deve reinventarsi, la buona notizia è che non è mai troppo tardi. Soprattutto se si hanno competenze che sembravano inutili ma che oggi potrebbero essere proprio quelle giuste.