La felicità più grande è quella condivisa


Che cos’è, davvero, la felicità?

Una domanda semplice solo in apparenza. A volte è un caffè con un’amica, una passeggiata rigenerante da soli, un attimo di luce inspiegabile in una giornata qualunque. Altre volte è qualcosa di più astratto: arriva, ci attraversa e non sappiamo nemmeno perché. Quello che però noto, in me e nei miei coetanei, è che spesso non solo non comprendiamo la felicità, ma non la riconosciamo proprio quando accade.

Le nostre giornate sono piene, densissime, non lasciano spazio né respiro. Viviamo con la sensazione di non fare mai abbastanza, di essere sempre un passo indietro, di non potersi permettere di staccare. Perché, se lo facciamo, qualcuno ci supererà. È una pressione silenziosa, costante, collettiva. Non riguarda solo me, ma un’intera generazione.

Lo vedo chiaramente oggi, mentre mi preparo a terminare il mio percorso di studi. L’anno scorso ho concluso la triennale: avrei dovuto celebrarla, e invece quel momento è passato velocissimo. Mi sono sentita felice solo per un istante. Subito dopo la mia testa correva all’obiettivo successivo: la magistrale, l’ennesima scelta giusta da prendere, un futuro da dimostrare. Oggi, arrivata alla fine di altri due anni di studio, la sensazione è simile: più che godermi il traguardo, temo di non riuscire a ripagare i sacrifici, di non trovare il lavoro giusto, di non sentirmi realizzata. È come inseguire continuamente un domani che non arriva mai.

Riconoscere questo meccanismo, però, è già un passo avanti. Mi permette di immaginare la felicità non come un punto di arrivo, ma come un movimento. Un processo.

È stata proprio questa idea di movimento a catturarmi quando mi sono avvicinata alla filosofia di una realtà come Chopard. Può sembrare insolito partire da un’azienda del lusso per parlare di emozioni, pressione e generazione Z. Eppure, è proprio questo il punto: alcune aziende sanno che il vero valore non nasce solo dai numeri, ma dai principi che custodiscono.

La mia riflessione si è concentrata sui celebri diamanti mobili della Maison, che danzano liberi all’interno delle creazioni della linea Happy. Secondo Chopard, un diamante è felice solo quando è libero di muoversi, un’idea che ha dato vita ad alcune delle sue creazioni più iconiche. Ed è proprio qui che entra una delle storie più significative della Maison: la nascita dell’Happy Sport. A metà degli anni Novanta, Caroline Scheufele immaginò un orologio in cui i diamanti fossero liberi di scivolare direttamente sopra il quadrante, racchiusi tra due vetri zaffiro. Un’idea considerata così audace che un artigiano le promise una rosa per ogni modello venduto. Il successo fu tale che mantenne la promessa, e quel roseto, oggi ancora curato da Caroline, è diventato simbolo del potere delle idee quando incontrano libertà e determinazione.

La libertà di movimento come chiave della felicità: forse è ciò che manca alla mia generazione, schiacciata dalla necessità di essere sempre performante: la libertà di esplorare, di cambiare direzione, di sbagliare senza sentirsi sbagliati. La libertà di considerare il percorso tanto importante quanto il risultato. Perché se ci fermiamo un attimo a guardarci mentre siamo in movimento, possiamo finalmente riconoscere i nostri meriti, le nostre conquiste, i nostri passi avanti, anche quando subito dopo ci aspetta un nuovo inizio.

Un’altra cosa che sto imparando, però, è la libertà di condividere la felicità. Riflettendo ancora su Chopard, immagino una vera e propria catena della gioia: qualcosa che si propaga, che si muove da persona a persona, proprio come quei diamanti che non smettono mai di danzare. Un concetto che la Maison ha trasformato in un invito globale durante l’Happiness Day, quando le boutique di Parigi, Tokyo, Londra, New York, Milano e Hong Kong si sono adornate di rose, simbolo della sua storia e della creatività che la caratterizza. Un gesto semplice, ma capace di rendere visibile l’idea che la felicità cresce solo quando viene condivisa.

Nell’ultimo anno sono entrata nel mondo della Junior Enterprise con JEMORE e lì ho scoperto quanto possa essere potente una catena che funziona davvero. Un ambiente dove non esiste competizione fine a sé stessa, ma collaborazione autentica; dove condividere non significa esporsi o svalutarsi, ma crescere insieme. Dove puoi stimare chi ne sa più di te senza sentirti meno e puoi aiutare chi vuole imparare senza percepire il peso del confronto.

Questa è la realtà sana che ogni giovane dovrebbe vivere: un contesto che ti permette di scoprire chi sei, di allenare creatività e curiosità, di sentirti parte di qualcosa che ti spinge in avanti invece di frenarti. Ed è in ambienti del genere che accade quella magia di cui parlavo all’inizio: una giornata giusta in cui ti senti felice senza capirne subito il motivo. Poi lo realizzi: arriva da ciò che ti circonda, dalle esperienze che ti formano passo dopo passo, dalle persone che ti fanno brillare un po’ di più.

Forse è questo il segreto: lasciarsi muovere e, allo stesso tempo, muovere gli altri. Danzare insieme, come i diamanti di Chopard.

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