Poche figure, nella storia dell’umanità, sono carismatiche come quella di Agostino d’Ippona, Dottore della Chiesa e fondatore della scuola di pensiero che i filosofi e i teologi chiamano Patristica. Sebbene la sua figura risalga al IV secolo, i suoi scritti sono ancora in grado di suscitare profonda immedesimazione nel lettore, grazie anche al taglio colloquiale di alcuni di essi (fra tutti, le Confessioni). Non gli mancò tuttavia l’occasione di scrivere opere molto più complesse e teoretiche, che ne rivelano la versatilità e la profondità di pensiero, si pensi al De Trinitate o al De Civitate Dei.
Leggendo la biografia, è facile vedere in Agostino, almeno nella fase giovanile della sua vita, una figura per nulla distante dalla persona “normale”, con passioni e turbamenti tipici dell’età e certo poco adducibili a un santo. La madre Monica, anch’essa santa, lo aveva sì educato alla fede cristiana, ma il figlio preferì dedicare un periodo della sua gioventù ai piaceri temporanei e alla dissolutezza.
È celebre l’episodio della sua conversione, narrato nel capitolo VIII delle Confessioni e avvenuto in un momento di profonda crisi interiore:
“Udii una voce proveniente da una casa vicina, una voce di fanciullo o fanciulla che ripeteva più volte: ‘Tolle, lege! Tolle, lege!’ (Prendi e leggi, prendi e leggi). (…) Trattenni le lacrime, mi alzai: non interpretai quell’invito che come un comando divino, perché aprissi il libro e leggessi il primo passo che mi fosse capitato.”
Agostino apre allora la Bibbia e legge un versetto della Lettera ai Romani, che lo invita a rinunciare alle dissolutezze e a seguire l’insegnamento di Gesù.
Ma il suo carisma, oltre che dalle vicissitudini private e dall’erudizione, deriva dall’ampia applicabilità dei suoi insegnamenti, validi tanto per la vita quotidiana quanto per le grandi scelte. Agostino non è solo il punto d’arrivo di un percorso di crescita personale: è il maestro di vita che accompagna passo dopo passo, errore dopo errore. Infatti, egli per primo affrontò senza paura le domande più radicali sul male, sull’identità, sulla libertà e sulla morte accogliendole come sfide necessarie. Non le respinse: le trasformò in ricerca e preghiera.
È per questo che Agostino continua a parlarci oggi: perché non chiede di reprimere gli interrogativi, ma di custodirli come motore dell’interiorità. “In te ipsum redi”, scrive nel trattato De Vera Religione (“rientra in te stesso”), non per fuggire dal mondo, ma come atto di autenticità. L’uomo non può conoscersi senza ascoltarsi, senza distinguere ciò che lo abita, senza riconoscere in sé un desiderio che lo trascende. È un messaggio urgente anche per il nostro tempo, immerso nel frastuono e nella frammentazione digitale.
Conoscere sé stessi è il passaggio chiave per poter essere guida anche per gli altri. Spesso si commette l’errore di cercare risposte solo nei dati, nei consensi, nelle strategie, dimenticando che ogni decisione nasce da un centro interiore. Un capo che non riconosce i propri limiti rischia di trasformare l’organizzazione in uno specchio delle proprie paure. Agostino lo sapeva: il potere senza introspezione genera arroganza, e l’arroganza è la radice di ogni caduta.
Agostino ci insegna quanto utile possa essere non correre immediatamente verso l’obiettivo, ma prendersi cura di ciò che cresce intorno: “Non per dominare, ma per servire”, scrive in uno dei suoi sermoni. Per lui, l’autorità è un atto d’amore, non di possesso. Un’idea che anticipa di secoli la leadership etica e partecipativa: il capo non è colui che comanda, ma colui che si prende cura: il suo successo si misura nella crescita umana di chi lo segue.
E, da pensatore cattolico, è immancabile il suo appello all’umiltà, concetto oggi spesso confuso con “umiliazione”. In realtà Agostino, che fu retore di corte e poi vescovo, conosceva bene il fascino della gloria e metteva in guardia dall’ebbrezza che il potere può dare. Ma capì che la vera forza è la capacità di chinarsi: sapere che si può imparare da chiunque, anche dal più piccolo, e che bisogna riconoscere gli sbagli che si commettono. Per dirla con Socrate, bisogna riconoscere di sapere di non sapere.
Sant’Agostino non fornisce mai soluzioni preconfezionate: invita piuttosto a uscire dalla nostra comfort zone mentale, a non accontentarsi mai di ciò che sembra facile, perché ciò che è giusto e vero può essere colto solo da chi ha avuto il coraggio di guardarsi dentro e accettare le proprie contraddizioni. Questo esercizio è propedeutico ad affrontare le decisioni, grandi o piccole, che un leader può trovarsi a compiere. Come ricorda il Vangelo di Luca, “Chi è fedele nel poco è fedele anche nel molto”: chi è giusto nel piccolo della propria vita lo sarà anche nel decidere per gli altri.
La sua lezione più moderna è anche la più antica: per guidare il mondo, bisogna prima imparare a guidare sé stessi. E per guidare sé stessi, bisogna avere il coraggio di ascoltare il silenzio.