Lo scorso 10 dicembre si è svolta la prima parte dell’Esame di Stato per l’abilitazione alla
Professione Forense, noto ai più come Esame di Avvocatura. Oltre 10mila candidati in tutta Italia
hanno affrontato la prima prova per diventare Avvocati, dopo aver terminato i 18 mesi di
praticantato presso uno studio legale e contestualmente frequentato la Scuola Forense Obbligatoria.
Avvocati in fuga: le ragioni di una crisi generazionale
Dati alla mano, negli ultimi due anni, sempre meno giovani hanno deciso di intraprendere questa
strada: un’inversione di tendenza rispetto al passato che trova una plausibile spiegazione nelle
scarse garanzie di impiego e di equa retribuzione per gli appartenenti alla categoria.
Comprensibilmente, ritrovarsi alla soglia dei 30 anni senza concrete prospettive di crescita
professionale ha allontanato non solo i candidati che da poco hanno conseguito la laurea, ma anche
chi ha già superato l’esame e ha iniziato a svolgere la professione. Non a caso, in base all’ultimo
rapporto Censis, il 36% dei giovani avvocati ha considerato la possibilità di abbandonare la
professione principalmente per motivi economici.
Ma come si è arrivati a questo punto? Appare poco credibile imputare tali risultati ad una
disaffezione verso la professione o alla motivazione evergreen della poca propensione al sacrificio
da parte delle nuove generazioni. Invece, la saturazione del mercato legale ha sicuramente
contribuito a privare molti avvocati della possibilità di affermarsi professionalmente e
conseguentemente di preparare e accogliere giovani collaboratori, come sempre avvenuto in
passato, anche per non perdere competitività alla luce delle nuove sfide poste dal presente e dal
futuro. A fronte di una, seppur tenue, ripresa economica del Paese post pandemia, bisogna
interrogarsi sull’appeal esercitato da una professione che finora ha dimostrato poca permeabilità al
cambiamento, e che, salvo qualche eccezione, difficilmente può competere con altre forme
organizzative più moderne e adeguate al mondo della GenZ. In sintesi: retribuzione non adeguata,
orari lavorativi estenuanti, difficoltà nel raggiungere il famigerato work life balance, generale
ritrosia a adottare lo smart-working, gelosia del proprio sapere (e dei propri clienti), individualismo
imperante. La ricetta perfetta per una crisi sistemica.
Alle radici del problema: l’Università
Facendo un passo indietro, specularmente a questa situazione, si è registrato un significativo calo
degli iscritti alla Facoltà di Giurisprudenza e un aumento del tasso di abbandono scolastico, fattori
destinati ad alimentare nel medio termine il trend negativo appena descritto, con il pericolo che si
crei un vero e proprio circolo vizioso. Gli anni universitari sono fondamentali per lo sviluppo di una
conoscenza preliminare nel settore dove, verosimilmente, si spenderanno i successivi 40 anni di
lavoro e di vita: nonostante le università italiane, pubbliche e private, offrano una preparazione
accademica di altissimo livello, molto spesso manca un collegamento diretto con il mondo del
lavoro.
L’associazionismo studentesco come antidoto: una speranza di cambiamento che parte dal
basso
In un quadro non certo rassicurante, si inseriscono gli studenti, che, contrariamente a quanto
sostenuto da alcuni, hanno più volte dimostrato di non voler recitare il ruolo di semplici spettatori,
limitandosi a lamentare la carenza di opportunità. Al contrario, si impegnano per crearsele.
Un esempio concreto di questo impegno è rappresentato da ELSA Torino – The European Law
Students’ Association, realtà che si occupa di completare la formazione degli studenti universitari
attraverso l’organizzazione di seminari, conferenze, programmi didattici e tirocini professionali, con
l’obiettivo di colmare il gap tra il mondo accademico e quello lavorativo.
In particolare, a cadenza semestrale, l’Associazione organizza l’AfterWork, un evento di
networking che mira a rispondere alla mancanza di connessioni tra università e mondo del lavoro. Il
format, nato negli Stati Uniti, coinvolge 50 professionisti e 50 studenti, che si incontrano a fine
giornata, in un contesto informale, lontano dalle rigidità dei tradizionali career fairs. L’obiettivo è
creare un’atmosfera conviviale che favorisca il dialogo e l’incontro, permettendo agli studenti di
confrontarsi con professionisti del settore legale, apprendere dalle loro esperienze e scoprire
opportunità di stage o lavoro. L’associazionismo,
in questo caso, si configura come uno strumento fondamentale per favorire l’inserimento
professionale, creando una rete di contatti potenzialmente determinanti per la carriera futura degli
studenti.
Solo comprendendo appieno lo status quo, è possibile affrontare il futuro con maggiore
consapevolezza e preparazione. Questo tipo di esperienze possono dare nuova linfa alla professione
forense, restituendole quel fascino e quel dinamismo che storicamente la caratterizzavano.