È possibile operare il cervello umano mentre il paziente parla, conta, suona uno strumento e richiama i propri ricordi?
Non è fantascienza. È Awake Surgery: una tecnica neurochirurgica che consente di intervenire sul cervello con il paziente sveglio e pienamente collaborante.
Ogni cervello è unico. Linguaggio, movimento e memoria non risiedono sempre nelle stesse aree, ma variano da individuo a individuo. Questa variabilità rende insufficiente un approccio standardizzato e impone una chirurgia su misura. È qui che l’Awake Surgery diventa cruciale: il paziente non è più un soggetto passivo, ma una guida attiva dell’intervento. Le sue risposte agli stimoli permettono al neurochirurgo di orientarsi in tempo reale, adattando ogni decisione a ciò che accade momento per momento. Attraverso la stimolazione corticale diretta, mediante elettrodi, è possibile mappare con estrema precisione le connessioni neuronali. Questo consente di identificare le aree funzionali e preservare capacità cognitive e motorie fondamentali. Il risultato non è solo una maggiore efficacia chirurgica, ma anche una riduzione significativa delle sequele neurologiche post-operatorie. Tuttavia, sarebbe riduttivo considerare l’Awake Surgery esclusivamente come una tecnica. È, prima di tutto, una filosofia di cura. Un approccio che va oltre l’atto chirurgico e mette al centro l’identità della persona. Prima dell’intervento, il rapporto tra chirurgo e paziente assume un ruolo determinante. Una fase conoscitiva approfondita consente di comprendere lo stile di vita, le passioni e ciò che per il paziente rappresenta davvero “funzione”. Suonare uno strumento, parlare una lingua, svolgere una professione: non tutte le funzioni hanno lo stesso peso per tutti.
In Awake Surgery, operare il cervello significa anche entrare nella storia di chi lo abita. Per questo, il neurochirurgo si assume la responsabilità non solo di rimuovere una patologia, ma di preservare ciò che rende una vita pienamente tale. Le volontà espresse dal paziente prima dell’intervento guidano il chirurgo tanto quanto le immagini radiologiche, offrendo un orientamento essenziale per comprendere con precisione dove intervenire. Tracciano una linea invisibile, una promessa. Dialogare con un paziente mentre lo si opera non è semplice. Ma è proprio in quella capacità di ascolto, in quel rapporto medico-paziente, che si rivela l’essenza della professione. Quando tutto è pronto, quando il silenzio domina la sala e l’intervento può iniziare, al paziente viene chiesto di suonare, raccontare, disegnare o descrivere immagini. Ed è proprio mentre il paziente si esprime che la lesione viene asportata. Questa visione ha trovato un’importante applicazione anche in Italia. Nel 2022, il Dottor Christian Brogna ha contribuito a portare l’Awake Surgery all’attenzione del grande pubblico, segnando un passaggio significativo non solo sul piano clinico, ma anche su quello culturale. La sua esperienza dimostra come questa pratica non sia semplicemente il risultato di un progresso tecnologico, ma l’espressione di un nuovo paradigma nella relazione tra medico e paziente, fondato sull’ascolto e sulla personalizzazione della cura. Questo approccio è stato recentemente raccontato nel libro Awake, in cui Brogna accompagna il lettore lungo l’intero percorso dell’intervento, andando oltre il momento chirurgico in senso stretto. Dalla fase conoscitiva con il paziente — in cui emergono valori, priorità e obiettivi di vita — fino al giorno dell’operazione, il libro restituisce una visione completa dei passaggi che rendono possibile una chirurgia realmente su misura. Un racconto che sottolinea come, nell’Awake Surgery, la preparazione umana sia tanto determinante quanto quella tecnica. Come afferma lo stesso Brogna:
“Il mio obiettivo non è soltanto rimuovere un tumore, ma custodire la persona nella sua interezza: la sensibilità, l’intuizione, il senso dell’umorismo, la capacità di amare, ricordare, desiderare, essere. Perché ogni cervello è unico. Ma, soprattutto, ogni essere umano lo è.”
Durante un intervento in Awake Surgery, il livello di concentrazione richiesto è massimo. Da un lato, la precisione neurochirurgica deve essere millimetrica. Dall’altro, è necessaria un’interazione continua con il paziente, che rimane vigile e collaborante per tutta la durata della procedura. Il monitoraggio non riguarda solo i parametri clinici, ma anche lo stato emotivo della persona, che può sperimentare paura o disorientamento a causa dei rumori della sala operatoria, della durata dell’intervento o della semplice consapevolezza di trovarsi nel pieno di un’operazione cerebrale. In questo contesto, il chirurgo non si occupa esclusivamente del cervello, ma anche della mente del paziente. La capacità di rassicurare, comunicare e mantenere un clima di fiducia diventa parte integrante dell’atto chirurgico stesso. Affinché tutto ciò sia possibile, l’Awake Surgery non è mai il risultato dell’azione di un singolo, ma di un lavoro corale. L’intera équipe — anestesisti, neuropsicologi, infermieri e tecnici — partecipa alla preparazione del caso insieme al neurochirurgo, studiando ogni dettaglio in vista del momento cruciale dell’intervento. In sala operatoria, concetti come decision-making, assunzione di responsabilità e gestione dell’imprevisto non sono teorie astratte, ma competenze operative fondamentali. È in questo equilibrio tra leadership e collaborazione che l’Awake Surgery esprime il suo massimo potenziale.
In questo scenario, l’intelligenza artificiale rappresenta un ulteriore passo in avanti. L’IA può supportare l’équipe durante l’intervento, integrando dati di imaging e mappaggi funzionali e contribuendo alla costruzione di mappe cerebrali sempre più aderenti alla storia clinica del paziente. L’obiettivo non è sostituire il neurochirurgo o i membri dell’équipe, ma potenziarne la capacità di orientarsi nella complessità, riducendo l’incertezza e supportando decisioni che incidono direttamente sulla qualità di vita nel post-operatorio. In questo modo, l’IA può farsi carico della componente più analitica, lasciando al medico maggiore spazio per la relazione, l’ascolto e la gestione emotiva del paziente sveglio. Anche la realtà virtuale sta giocando un ruolo chiave nell’evoluzione dell’Awake Surgery. Negli ultimi decenni, il suo utilizzo in ambito sanitario si è ampliato in modo significativo, passando da strumento prevalentemente didattico a tecnologia affidabile di supporto alla pratica neurochirurgica. Oggi, la VR non è più un semplice ausilio, ma un vero e proprio acceleratore di precisione clinica. Grazie all’integrazione con tecniche chirurgiche avanzate, i team neurochirurgici stanno acquisendo una comprensione sempre più profonda della connettività anatomo-funzionale. Una conoscenza che consente di superare la tradizionale mappatura limitata alle funzioni motorie e linguistiche, aprendo la strada a compiti cognitivi più mirati e sofisticati.
L’Awake Surgery rappresenta una delle espressioni più avanzate della medicina contemporanea: una disciplina in cui tecnologia, intelligenza artificiale e realtà virtuale non sostituiscono l’uomo, ma ne amplificano la capacità di prendersi cura dell’altro. In un’epoca in cui l’innovazione corre veloce, questa tecnica ricorda che il vero progresso non è solo ciò che siamo in grado di fare, ma ciò che scegliamo di preservare. Perché il futuro della neurochirurgia non sarà definito soltanto da strumenti sempre più sofisticati, ma dalla capacità di unire precisione scientifica e responsabilità umana. E, soprattutto, di ricordare che ogni cervello è unico, perché ogni vita lo è.