Fare il giornalista in Italia oggi non è un’impresa facile. Tra stage non retribuiti, lunghi praticantati e una competizione feroce, il settore sembra una corsa a ostacoli dove chi parte senza contatti rischia di non arrivare mai al traguardo. Il paradosso? Per lavorare in questo campo serve esperienza, ma per fare esperienza serve già un’opportunità concreta. E mentre le università forniscono ottime basi teoriche, il giornalismo è un mestiere che si impara sul campo. Se prima dell’avvento dei giornali online vi era una feroce lotta per poter pubblicare qualche riga sulla pagina di un giornale, con la digitalizzazione lo spazio di pubblicazione è diventato pressoché infinito, inficiando però sulla qualità dei prodotti. Oggi, nell’epoca dei contenuti verticali, la soglia d’attenzione generale è calata, causando un disinteresse, soprattutto dei giovanissimi, verso gli articoli giornalistici scritti “alla vecchia maniera”. Anche l’editoria è cambiata in questo senso, spostandosi verso una produzione di articoli che mirano sempre più ad acchiappare il like e per questo sta diventando sempre più importante il ruolo del titolista. Voler fare il giornalista oggi in Italia significa dovere “sgomitare” tra le redazioni per affermarsi in un mondo piuttosto chiuso e in continua trasformazione. Ma lo scopo di questo articolo e intervista non è scoraggiare chi sogna di fare questo mestiere, quanto piuttosto dimostrare che i ragazzi e le ragazze hanno un grandissimo trampolino di lancio per poter iniziare questo mestiere: i giornali universitari.
Questi infatti possono essere la palestra perfetta per sviluppare competenze, creare connessioni e sperimentare linguaggi innovativi. Scrivere per una testata universitaria non è un semplice esercizio accademico, significa coprire eventi reali, intervistare professori, esperti e ospiti di rilievo, confrontarsi con deadline vere. Ogni articolo pubblicato è un biglietto da visita per future collaborazioni e poter entrare in contatto con ex studenti, giornalisti affermati, docenti e professionisti del settore. Questo network è fondamentale: molte carriere giornalistiche iniziano proprio grazie a un’opportunità nata in un ambiente accademico. Dall’editing alla pubblicazione, dalla gestione dei social alla correzione delle bozze, un giornale universitario è un ecosistema editoriale in miniatura dove si apprendono skills preziose come leadership, gestione del tempo e comunicazione efficace. A differenza delle testate tradizionali, i giornali universitari offrono maggiore libertà di sperimentazione. Questo significa poter testare nuovi formati, esplorare linguaggi diversi e approfondire tematiche spesso trascurate dai media mainstream. Attraverso piattaforme sociale come Instagram o TikTok, le testate universitarie stanno rivoluzionando il modo di raccontare la realtà, arrivando a quel gruppo di giovani che spesso le grandi testate non riescono a coinvolgere. Si tratta dunque di un odo di fare giornalismo che non passa più solo per articoli lunghi e statici, ma contenuti dinamici come reel, post a scorrimento e infografiche. Un mix tra giornalismo e storytelling digitale che sta ridefinendo le regole del settore.
A tal riguardo abbiamo intervistato il professor Mario Benedetto, alumnus Luiss, oggi professore del corso Teorie e Tecniche della Comunicazione e dell’Audiovisivo presso la stessa Luiss, ma anche uno dei fondatori di Radio Luiss, autore Rai e poi Mediaset e giornalista per diverse testate, tra cui Il Foglio, Il Tempo, Il Messaggero e, oggi, il Quotidiano Nazionale.
Lei è stato studente LUISS, è giornalista per il Quotidiano Nazionale. Per dare un overall inziale, come si accede al mondo dell’editoria nei tre “settori principali”: freelance, pubblicista o professionista?
Intanto, partiamo dal presupposto che, per diventare professionista, si fa o una scuola di giornalismo, tra quelle accreditate c’è quella della Luiss (Scuola Superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” ndr.), che è molto valida, c’è la scuola di Perugia o anche la RAI, che è un altro percorso che viene molto battuto. Comunque, una scuola di giornalismo chiaramente ti prepara al cosiddetto esame e poi, sostenuto l’esame, si diventa professionisti. Diversamente, si fa il praticantato e quindi bisogna trovare una testata qualsiasi che, per 18 mesi, ti permetta di fare pratica per poi fare l’esame e quindi, poi sta a te passarlo e diventare professionista. Il pubblicista, invece, deve fare un tot di articoli per una testata, retribuiti. Qui, poi, c’è un’altra distinzione: pubblicista non è chi esercita come professionista, quindi, in modo esaustivo, h24, il mestiere di giornalista, però è una carica che ti consente, per esempio, di dirigere un quotidiano. Di fatto, anche un giornalista pubblicista potrebbe diventare direttore di un giornale. Il freelance, dipendente, articolo 1 (Legge 69/1963, che istituisce l’Ordine dei Giornalisti ndr.), riguarda lo status, cioè come viene inquadrato. Questo è lo status giornalistico, poi c’è come viene inquadrato, cioè io sono professionista e sono stato articolo 1, cioè assunto da una testata o adesso, come oggi, tecnicamente possono definirmi anche freelance. Quindi il freelance è colui che fa l’attività libera con cessione di diritto d’autore o partita IVA e quindi, poi, dipende dal tipo di rapporto contrattuale che intercorre tra te e la testata. Come ci si diventa? Diciamo che fare la scuola di giornalismo è un percorso molto naturale, già incasellato. Dalla scuola di giornalismo poi entri in contatto, nel corso degli studi o anche alla fine, con delle realtà professionali. Diversamente, chi partecipa ad attività come giornali universitari, nel corso del proprio percorso accademico, ha la possibilità di incontrare tante realtà dei media e testate, rispetto alle quali potete manifestare il vostro interesse. È un percorso meno convenzionale rispetto, ad esempio, a quello manageriale dove ci sono aziende, si parla con gli HR e c’è un processo di recruiting. I giornali sono dei canali più ristretti, però il consiglio è di entrare in contatto anche utilizzando gli strumenti a disposizione dei giornali universitari, come la stessa radio o con tutti i vari strumenti che vi mette a disposizione l’università. In questo senso il giornalismo universitario non è solo un elemento di divertimento, ma si impara un mestiere e si conoscono gli interlocutori del mestiere.
Quindi pensa che le testate universitarie possano essere un acceleratore di carriera? Se sì, come? Quali sono, poi, all’atto pratico, gli strumenti che una testata a livello universitario può dare in confronto al professionismo?
Allora, intanto, rappresenta un impegno. Mentalmente, avere un impegno ti dà un metodo, quindi avere un impegno ti insegna a essere puntuale, a sapere che c’è una scadenza che, di fatto, è come se fosse lavorativa, perché almeno quando io facevo Radio LUISS da studente, lo prendevo come un impegno. Dopodiché, lavorare in un giornale, anche universitario, significa simulare quello che farai o potrai fare da grande, cioè lavorare in una redazione significa saper migliorare, potenziare o mettere in evidenza le proprie qualità, che siano relazionali o proprio strettamente professionali, capendo se ti piace di più la cultura, lo spettacolo, se ti piacciono di più gli interni, gli esteri. Insomma, si inizia a mettere a fuoco. Quello che dico è sempre che la teoria è determinante; dopodiché, questi mestieri si imparano facendoli, conoscendoli, o meglio, conoscendo come si fa. E per questo diventa determinante (l’impegno per giornali universitari ndr.). Terzo, con questo strumento si ha la possibilità, ed è un’altra opportunità che, secondo me, quest’università dà sia portando qua docenti di primo piano, sia aprendo le porte delle aule anche a personaggi di primo piano del mondo delle professioni, anche del giornalismo in questo caso; però, ecco, questo è un altro affluente che consente di entrare in contatto con realtà professionali, quindi con i protagonisti di questo mestiere, coinvolgere firme, dei direttori, delle figure di riferimento, anche poter ragionare in partnership o coinvolgere degli editori, diciamo così, e delle testate vere e proprie, con cui poter sviluppare dei progetti comuni. Quindi, da questo punto di vista, secondo me, non è utile, ma ti direi utilissimo. Con una solida preparazione di base teorica e con questi strumenti, secondo me, si può arrivare alla scelta giusta, che abbiamo tutti nel cuore e nella testa: dobbiamo solo comprendere e accettare che sia quella giusta. Però, quella giusta non è solo quella che ci dicono i fattori di contesto perché devi tener conto delle condizioni del mercato. Però, in cuor tuo, sai chi sei e cosa vuoi diventare e devi seguire quello.
Quindi, lei ha detto che, in un certo senso, i giornali universitari danno una forma mentis per quello che ci sarà dopo nel mondo del professionismo. Però all’atto pratico, nel momento in cui un ragazzo si laurea in magistrale e passa dallo scrivere o dall’avere un ruolo all’interno di una redazione universitaria ad una redazione professionale, quali sono le sfide a cui può andare incontro e le differenze principali che riscontra? Cioè, quanto è diversa la vita effettiva di redazione da quella accademica?
Dipende da quanto siete bravi voi a fare il giornale (ride, ndr.). È molto realistico, nel senso che, anche in questo caso, l’opportunità che da’ l’università è anche di conoscere come si fa un mestiere. Lo impariamo in aula, ma anche uscendo con esperienze che vanno fuori dall’aula, o meglio, aprendo, come dicevo prima, le porte dell’aula ai professionisti. Come lavora un giornale oggi io, poi, lo spiego ed è uno degli argomenti centrali di cui parlo anche nel mio corso (Teorie e Tecniche della Comunicazione e dell’Audiovisivo, ndr.) perché magari uno ha un’idea di un mestiere, pensa che fare il giornalista sia: mi alzo, scrivo, sento, giro, no! C’è comunque un’organizzazione, una redazione. Anche come stile di vita, lo diciamo oggi ai ragazzi: il giornale apre molto tardi perché deve rimanere, per sua natura, aperto fino a tardi per inglobare al massimo le notizie della giornata e quindi si finisce la giornata alle undici/mezzanotte, più o meno. Io l’ho fatto, so cosa significa e quindi, anche questo, magari è un elemento che a tanti piace, ma del quale bisogna essere consapevoli. Questo è un esempio molto semplice, banale, ma, nella sua semplicità, se sei una persona a cui piace lavorare la mattina, forse non è un mestiere adatto a te. Anche aspetti banali, oltre alla filosofia del mestiere, devono essere considerati. Quindi, è molto importante che si facciano queste esperienze, dando sempre grande priorità allo studio (sottolinea molto, sia con il tono della voce che con i gesti della mano, questo punto, ndr.). Però è determinante, per me, che si facciano delle esperienze anche extra-didattiche come questa (il giornale, ndr.), cioè con lo studio metti le basi, con questo impari a fare il mestiere che hai studiato. Quindi fatelo seriamente. Cioè, capite come funziona, anche dai docenti all’università, che sono tendenzialmente sempre molto disponibili. Cercate di capire come funziona un lavoro reale per trasporlo nel vostro. Simulate quello. Fate le riunioni di redazione: tarda mattina, un’altra primo pomeriggio, un’altra la sera per la prima pagina. Adesso, magari, non fatelo tutti i giorni per lo studio, però considerate che questo, se volete fare questo lavoro, si fa tutti i giorni. Ti ripeto: stiamo parlando, nel senso stretto, di attività redazionale giornalistica, di testate, di quotidiani. Poi, nella radio o nella TV cambia e varia a seconda del programma, quotidiano, settimanale. La TV ha delle caratteristiche, i TG hanno delle caratteristiche e le reti ne hanno altre. La radio ha delle caratteristiche. Le radio poi hanno delle caratteristiche diverse: ci sono radio di flusso, di parole, di musica. In tutte e tre c’è una funzione informativa giornalistica che ha un peso e un’organizzazione diversa. Evidentemente, nella radio di parola è molto più importante. Quindi, ecco, bisogna conoscere bene questo mondo. Per questo sottolineo l’importanza dello studio, perché si mette a fuoco e si capisce. Se adesso, forse, magari non sapevi che c’erano queste tre radio, ora che sai che esistono questi tre tipi di radio magari approfondirai anche questo e chiarirai cosa può piacerti di più. E poi, così come facevo io ai tempi a Radio Luiss, puoi riproporre il tipo di lavoro professionale. Mi ricordo che c’era uno dei ragazzi che si occupava della parte, diciamo, amministrativa, un po’ una sorta di manager, mentre io seguivo il palinsesto e facevo lo speaker. C’era questo ragazzo che era entrato nel pieno. Anche lui è un alumnus, che non insegna (alla Luiss, ndr.), ma la frequenta molto, ed è anche l’amministratore di una delle principali agenzie giornalistiche che esistono oggi. E lui metteva le riunioni alle otto di mattina. Allora, io, per certi versi, dicevo che fosse giusto perché così iniziamo a capire come funziona. E per altri dicevo: “Senti, io devo studiare, io non ci vengo. Do priorità allo studio, quando finisco vengo.” Quindi deve essere giustamente realistico. Adesso, in un’agenzia di stampa ci sta fare le riunioni alle 8 di mattina. In un quotidiano a quell’ora non si vede e non si sente nessuno, se non per messaggio. Quindi, ecco, è fondamentale fare questa esperienza e che si faccia dando priorità allo studio, ma che si faccia in modo serio e realistico.
Pensa esista o debba esistere una deontologia e un’etica anche per il giornalismo universitario?
La deontologia c’è, e quindi fa parte: quando si fa l’esame e si diventa giornalisti, si prende un impegno anche deontologico. Esiste formalmente, ma deve esistere a livello anche sostanziale. Fare questo mestiere, come tutti i mestieri, ma in particolare questo mestiere che ha un forte impatto sociale, significa andare anche oltre le prescrizioni della deontologia, quindi farsi uno scrupolo di coscienza in più. Oggi non accade spesso questo, perché c’è una grande polarizzazione di posizioni ideologiche, che è dovuta al fatto che la nostra editoria storicamente nasce impura. Non è un giudizio di valore, ma un’espressione tecnica. In tutto il mondo, diciamo così accade, chi più, chi meno. La deontologia deve restare un riferimento, quindi un rispetto formale delle regole che abbiamo sottoscritto come giornalisti. E come facciamo? Ci stiamo sempre attenti: quando scriviamo una parola, un giudizio, un’informazione, verifichiamola sempre, le fonti sono determinanti. Stiamo attenti e pensiamo a quello che il nostro pensiero, la nostra azione, quello che diciamo, pensiamo o scriviamo, può fare di buono o di meno buono, anche solo ad una persona. E questo significa fare il giornalista, secondo me.