Le donazioni di sangue sono uno dei gesti più semplici e allo stesso tempo più potenti per la comunità.
Una sola donazione può salvare fino a tre vite.
Donare è sicuro, controllato, rapido. Ogni sacca viene analizzata con test rigorosi che tutelano sia il donatore sia chi la riceve. Eppure, le scorte non sono mai scontate: nei mesi estivi e festivi si tocca spesso il limite. In Italia ci sono circa 1,67 milioni di donatori attivi, appena il 2,8% della popolazione: troppo pochi per garantire continuità al sistema.
Da questa consapevolezza nasce DONA ROSSO, una startup ideata da Filippo Toni e Chiara Schettino, entrambi under 30, con una missione chiara: rivoluzionare il mondo della donazione combinando salute, tecnologia e impatto sociale, coinvolgendo soprattutto le nuove generazioni.
Per capire dove sta andando questa rivoluzione, abbiamo parlato con Filippo.
A: Qual è stato il momento in cui avete capito che la carenza di sangue non era solo un’emergenza, ma una crisi strutturale?
F: Rosso nasce dalle storie di chi aspettava troppo per ricevere una trasfusione.
Chiara—la mia co-founder—ha vissuto questa realtà sulla propria pelle: ore di attesa anche in ospedali di eccellenza, e la sensazione che nessuno dei suoi coetanei sapesse davvero cosa stava accadendo. Lì è diventato chiaro che non eravamo davanti a un problema episodico, ma a un sistema in sofferenza.
Io venivo da anni di lavoro nell’innovazione: già da ragazzino costruivo tecnologie e a 14 anni ho brevettato un dispositivo di telemedicina. Quando ci siamo incontrati, è stato naturale unire le forze e immaginare una risposta nuova.
Abbiamo parlato con centinaia di pazienti, medici e professionisti: tutti ci hanno confermato che serviva un cambio di paradigma. Da lì è iniziato il percorso di Rosso.
A: Molti parlano di digitalizzare la sanità. Cosa rende la vostra tecnologia davvero trasformativa?
F: La digitalizzazione non basta se non parte dalle persone. Con Rosso vogliamo creare un sistema semplice, intuitivo e costruito per i giovani donatori del futuro.
Il nostro obiettivo è un’esperienza “a portata di click”: informazione chiara, verifica dell’idoneità, prenotazione immediata.
Questa visione nasce anche grazie a un grande mentore, il Dott. Alberto Zoli, che ha sempre ripetuto: “per il paziente, tutto deve essere accessibile con un click”.
È quello che stiamo realizzando.
Con Rosso, chi dona può rimanere nella propria associazione o scegliere un centro tramite app. Dall’altra parte, i centri di raccolta gestiscono in modo più efficiente i flussi grazie ai nostri strumenti digitali.
A: Per molti giovani la donazione non è un gesto abituale. Qual è la barriera più difficile da abbattere?
F: La disinformazione.
Tanti giovani non sanno come funziona la donazione o credono servano requisiti particolari. E poi le fake news, che alimentano dubbi inutili.
Inoltre, per anni la comunicazione sul dono si è fermata alle parole: sensibilizzare sì, ma senza dare un punto chiaro dove informarsi, registrarsi e prenotare.
Noi stiamo cambiando questo paradigma:
informazioni semplici, verificate, immediate, e un percorso digitale che accompagna la persona fino alla poltrona.
I donatori si sentono valorizzati, gli operatori supportati. È qui che la barriera psicologica crolla.
A: Se poteste dimostrare il vostro impatto con un solo indicatore, quale sarebbe?
F: Oggi direi: l’aumento dei nuovi donatori grazie al digitale.
Domani sarà la digitalizzazione dei centri di raccolta sangue e plasma.
Il sistema è fragile: servono giovani che entrino nel circuito e centri in grado di gestirli. Innovare qui non è solo un tema tecnologico: significa garantire la vita di chi ha bisogno oggi e domani.
A: Quale collaborazione è stata più decisiva e quale più impegnativa?
F: Quella con i reparti trasfusionali.
Sono loro che vivono quotidianamente l’urgenza: liste d’attesa, emergenze, pazienti fragili.
Quando ci hanno aperto le porte ci hanno dato la consapevolezza più grande: se vuoi cambiare il sistema, devi ascoltare chi lo tiene in piedi.
La sfida più dura? Allineare un ecosistema complesso: associazioni autonome, procedure ancora analogiche, differenze regionali… e un team under 30 che propone un cambiamento.
Ma proprio questa complessità ha modellato la nostra cultura: rispetto, trasparenza, pazienza, visione.
A: Essere under 30 in un settore delicato come la sanità: qual è stata la critica più dura e come l’avete trasformata in forza?
F: Che eravamo troppo giovani per innovare un settore così serio.
Ma la giovinezza può essere un punto di forza, se unita all’umiltà di ascoltare.
Abbiamo passato mesi dentro i centri, imparando linguaggi e bisogni. Non puoi permetterti MVP improvvisati: devi consegnare prodotti solidi, sicuri, conformi.
Le critiche ci hanno aiutato a crescere, a migliorare ogni dettaglio. Oggi abbiamo una squadra che unisce ingegneri, medici, designer, volontari: persone che credono nella missione.
Essere giovani ci permette di pensare soluzioni nuove; essere ascoltatori ci permette di costruirle bene.
A: Tra cinque anni Rosso sarà ancora una piattaforma o qualcosa di più?
F: Rosso vuole diventare molto più di una piattaforma:
un hub che rafforza il sistema sangue e salva vite, oggi e in futuro — in Italia e presto nel mondo.
E ora mi rivolgo direttamente a te che stai leggendo.
Ognuno di noi può fare qualcosa di enorme con un gesto piccolo:
donare tempo, speranza, possibilità a chi sta lottando — un bambino, un adulto, una persona fragile.
TU puoi fare la differenza.
TU puoi cambiare una vita.
TU puoi essere la scintilla che ridà speranza.