Negli ultimi anni, l’economia circolare ha riscontrato grande successo come modello di produzione e consumo, specialmente in settori a grande impatto ambientale, come quello della moda. L’industria tessile è, infatti, uno dei principali responsabili delle emissioni di gas serra, del consumo di risorse naturali e della produzione di rifiuti, è quindi un settore che necessita una transizione a modelli più sostenibili.
Secondo i dati rilevati dall’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA), 2023, nel 2020 il settore tessile “è stato la terza fonte di degrado delle risorse idriche e dell’uso del suolo. In quell’anno, sono stati necessari in media nove metri cubi di acqua, 400 metri quadrati di terreno e 391 chilogrammi di materie prime per fornire abiti e scarpe per ogni cittadino dell’UE”. Nonostante sia crescente la consapevolezza e l’impegno per la sostenibilità, anche il fast fashion è in tendenza, alimentando il divario tra beni di seconda mano e acquisti economici e veloci.
L’Indice di Circolarità e la Situazione Italiana
In Italia, l’indice di circolarità – l’indice che misura la circolarità di un’organizzazione, ossia la capacità che questa ha di riciclare, riutilizzare o riassorbire dei materiali nel ciclo produttivo – è di circa il 18%, posizionandosi come secondo Paese in Europa, dopo la Francia (Capuano, Presidente della CONAI, Sole24Ore – 7 Dicembre 2024).
Tuttavia, se si considera nello specifico il settore tessile, l’Italia non detiene lo stesso primato. Il tasso di intercettazione dei rifiuti tessili e scarpe in Italia si assesta al 15%, ben al di sotto della Francia (24%), della Germania (18%) o dei paesi del Benelux che raggiungono addirittura il 30%. Sebbene si distingua da paesi come la Norvegia o Irlanda, che non raggiungono il 5%, è facile notare che l’Italia nonostante i miglioramenti generali dell’indice di circolarità, debba ancora fare passi in avanti per favorire una transizione all’economia circolare anche nel settore tessile.
Il Fast Fashion
L’industria del fast fashion ha avuto un impatto enorme sul panorama della moda globale, alimentata dalla sua capacità di soddisfare velocemente la domanda dei consumatori con prezzi molto bassi e collezioni in continuo aggiornamento. Le catene di fast fashion, come Zara, H&M e Shein, sono riuscite a trasformare la moda da un ciclo stagionale in un flusso continuo di nuovi arrivi, creando una cultura di consumo istintivo e rapido. Durante eventi, quali ad esempio il Black Friday, i consumatori si sono gettati in acquisti scatenati, contribuendo ad un picco nelle vendite non solo nei negozi fisici, ma soprattutto online, dalla comodità del proprio divano.
Questo fenomeno può essere attribuito alla capacità delle aziende di fast fashion di abbattere i costi, offrendo abbigliamento economico ma alla moda, e sfruttando le economie di scala per mantenere i prezzi contenuti. Il modello di business si basa su una produzione ad alto volume, in cui i costi sono ridotti al minimo grazie alla produzione in paesi con bassi costi di manodopera (principalmente Bangladesh o Cina), alimentando la concorrenza anche interna e soprattutto spingendo molti consumatori a preferire il nuovo rispetto all’usato.
L’Acquisto dell’Usato
Contemporaneamente alla crescita del fast fashion, si è assistito a una crescente affermazione dei mercati dell’usato e delle piattaforme di scambio, come Vinted, Depop e TheRealReal. In Italia, questo fenomeno è in espansione: sempre più consumatori si rivolgono al second-hand, attratti dalla possibilità di acquistare abbigliamento a prezzi più bassi e, al contempo, di ridurre il proprio impatto ambientale. Acquistare usato è diventato non solo una scelta economica, ma soprattutto una decisione etica per chi è consapevole delle problematiche ambientali legate alla produzione tessile.
L’acquisto di abbigliamento di seconda mano, inoltre, risponde alla domanda crescente di sostenibilità. Le nuove generazioni, in particolare, sono più critiche nei confronti dell’industria del fast fashion, cercando soluzioni alternative
che riducano il consumo di risorse naturali e il volume di rifiuti. L’usato rappresenta una delle risposte più concrete a questa esigenza, e molte piattaforme di rivendita stanno espandendo le loro offerte, attirando milioni di utenti ogni anno. Acquistando l’usato non solo si pensa all’impatto ambientale, ma anche alla possibilità futura di rivendere il prodotto ad un terzo e quindi far circolare ancora quel determinato capo, anziché cestinarlo.
Il Contrasto tra Usato e Fast Fashion
Nonostante l’aumento dell’acquisto del second-hand, il fast fashion continua a crescere, alimentato da fattori che lo rendono irresistibile per molti consumatori: il basso costo, la rapidità nell’arrivare sul mercato collezioni sempre più nuove e l’accessibilità immediata grazie all’e-commerce. La contraddizione tra queste due tendenze – l’acquisto di usato e l’espansione del fast fashion – evidenzia una divisione profonda tra una crescente consapevolezza ambientale e gli ostinati comportamenti di consumo compulsivo e immediato dei consumatori.
In effetti, nonostante i tentativi di promuovere un modello di economia circolare, il fast fashion riesce ancora a rispondere con grande efficienza alle attuali esigenze di mercato, soprattutto in un periodo in cui l’accessibilità economica e la velocità sono valori prioritari per la maggior parte dei consumatori. L’industria del fast fashion si è infatti adattata all’era digitale, proponendo sconti, nuove collezioni settimanali e pubblicità mirate per attrarre il consumatore a rimanere sempre “al passo con la moda” – a costo di continuare a sacrificare la sostenibilità.
Vestiaire Collective – piattaforma online di rivendita di capi usati di lusso – ha portato avanti un’analisi per dimostrare che l’acquisto di capi Fast Fashion costerebbe paradossalmente di più al consumatore. Lo ha fatto mettendo a confronto alcuni cappotti con fasce di prezzo comparabili e calcolando il costo per utilizzo di questi ultimi. Quello Second Hand ha un costo per utilizzo di 1,62 euro contro i 4,53 euro dei cappotti fast fashion nuovi. Questo perché il primo viene indossato in media quattro volte più spesso rispetto a quelli fast fashion nuovi.
La Via della Sostenibilità: Un Futuro Incerto
Il futuro della moda potrebbe sfruttare una sinergia tra l’industria del fast fashion e l’economia circolare, ma affinché questo accada, le aziende devono adottare pratiche più sostenibili. L’integrazione del Triple Bottom Line Model (TBL), che considera non solo i profitti ma anche l’impatto sociale e ambientale delle attività aziendali, potrebbe rappresentare un elemento di differenziazione per le aziende di fast fashion nel mercato. In questo contesto, l’approccio alla Corporate Social Responsibility (CSR) potrebbe incentivare le aziende a ridurre gli sprechi, migliorare le condizioni di lavoro e promuovere la trasparenza nelle loro pratiche produttive.
Allo stesso tempo, i consumatori possono continuare a spingere per il cambiamento, favorendo l’acquisto di abbigliamento usato e supportando aziende che promuovono pratiche più etiche e sostenibili. La convergenza tra il desiderio di accessibilità e la necessità di sostenibilità potrebbe essere la chiave per superare la sfida posta dal fast fashion e per promuovere un’economia tessile circolare davvero efficace.