Luci e ombre dell’editing genetico


Negli ultimi anni la medicina ha compiuto progressi straordinari, passando da terapie a largo spettro a interventi sempre più specifici, fino a raggiungere un livello molecolare. Oggi, grazie a tecnologie come CRISPR-Cas9, i ricercatori possono intervenire direttamente sul DNA umano, come se avessero tra le mani un manuale di istruzioni della vita. Eppure non è tutto oro ciò che luccica. Al di là delle recenti innovazioni, si è giunti davanti a un dilemma etico: fino a che punto l’intervento sulla genetica potrà essere considerato cura e quando, invece, potrebbe sfociare in pratiche dalle implicazioni difficili da definire? Sebbene oggi questo tema sia solo accennato, diverrà sempre più centrale con l’avanzare di questi approcci.

CRISPR: forbici molecolari o bacchetta magica?

CRISPR-Cas9 è un sistema di editing genetico derivato da un meccanismo di difesa batterica contro i virus, in grado di riconoscere e tagliare specifiche sequenze di DNA: la “guida” (RNA guida) conduce la proteina Cas9 al punto esatto del genoma da modificare, dove viene effettuato un taglio. Sarà quindi la cellula stessa, mediante meccanismi intrinseci, a riparare poi il DNA.

Questo processo può essere sfruttato per disattivare un gene malato, inserirne una versione nuova o per correggere delle mutazioni puntiformi. Un esempio concreto è Casgevy (exa-cel), approvato tra il 2023 e il 2024 per il trattamento dell’anemia falciforme (Sicke Cells disease) e della β-Talassemia Major (Morbo di Cooley).

Quindi, riassumendo e semplificando, il meccanismo è assimilabile a quello di un “correttore automatico ultra-avanzato”: individua l’errore, lo rimuove e lo corregge. Il tutto con una precisione che fino a qualche decennio fa sembrava un’utopia. Così come ogni processo biologico, però, anche questo potrebbe, sebbene molto raramente, causare errori come traslocazioni cromosomiche o inserzioni e delezioni impreviste.

Nonostante le sfide ancora aperte, questo sistema apre scenari enormi, come cure su misura e trattamenti preventivi per malattie rare, neurodegenerative o oncologiche. Siamo davanti a un cambio di paradigma.

Accesso equo e distribuzione delle tecnologie

Le tecnologie genetiche, purtroppo, non sono (ancora) alla portata di tutti. Tra costi elevati, complessità tecniche, pochi centri specializzati, l’accesso a queste cure d’avanguardia resta limitato. Dal punto di vista etico e sociale, è fondamentale sviluppare modelli di accesso che garantiscano equità, evitando che la manipolazione genetica diventi un lusso per pochi.

L’OMS, autorità sanitaria globale che svolge un ruolo centrale nella definizione di linee guida basate su evidenze scientifiche, ha ancora un ruolo limitato nella distribuzione pratica di questi trattamenti.

Chi potrà accedere per primo a queste cure? Chi ne controllerà la distribuzione? Le risposte a queste domande non possono essere lasciate solo al mercato. Servono infrastrutture globali, che riconoscano il genoma come un bene collettivo, e non come una risorsa da capitalizzare privatamente.

Il nuovo ruolo del medico e della scienza

Oggi più che mai la medicina ci mette in guardia contro lo sviluppo delle patologie mediante programmi di Prevenzione Primaria, attuata attraverso strategie comportamentali e modifiche dello stile di vita volte a ridurre l’incidenza di specifiche malattie.

Parallelamente, per mezzo di ampi studi genetici, si è arrivati anche alla definizione di quelli che sono dei fattori di rischio presenti in alcune mutazioni del nostro genoma. Chissà se in futuro si potrebbe arrivare a correggere anche questi ultimi. 

In questo nuovo scenario, anche il ruolo del medico cambierebbe. Non si tratterebbe più solo di guarire o alleviare sofferenze, ma di intervenire sul patrimonio genetico dell’umanità. 

Per questo chi modifica il genoma non ripara solo un errore, ma firma un nuovo patto con l’umanità. Sarebbe quindi necessario un nuovo tipo di medico: non solo tecnico inteso come detentore di τέχνη (téchnē), e quindi di arte del fare e sapienza raffinata, ma anche filosofo e bioetico, capace di affrontare scelte che non hanno solo conseguenze cliniche, ma anche morali, sociali ed esistenziali.

Quando il DNA diventa design: il dilemma dell’eugenetica

Se oggi è possibile correggere difetti genetici, allora, un domani, sarebbe anche possibile scegliere alcune caratteristiche di un individuo. Possiamo quindi intravedere la sottile linea che separa la cura e l’ottimizzazione. Il rischio è quindi quello di scivolare nel campo minato dell’eugenetica. Ma chi decide cosa è modificabile? Con quali criteri e in nome di chi? Sono interrogativi che aprono scenari di nuove disparità genetiche.

La genetica si trasforma così da scienza della vita a industria del potenziale umano. Ma ogni scelta estetica o cognitiva, ogni gene “selezionato”, porta con sé un giudizio implicito su ciò che è desiderabile, e quindi, per contrasto, su ciò che non lo è. Si scivola così da un’idea di progresso alla costruzione silenziosa di nuovi standard normativi, scatenando nuove disuguaglianze e vecchi pregiudizi.

Nietzsche e perché sarebbe meglio non diventare robot perfetti

Nietzsche proclama che “Dio è morto” per denunciare il tramonto delle certezze morali che per millenni avevano ordinato l’esistenza umana. Quel vuoto chiama l’uomo a una sfida terribile: creare da sé i propri valori, diventare l’Übermensch, l’”oltre-uomo” che trionfa sul disorientamento. Oggi l’uomo si rifugia nella scienza che “promette” di superare la natura stessa. Non più soltanto un superamento spirituale o morale, ma un superamento biologico, meccanico. Dio è morto, e l’uomo è diventato Dio stesso modificando il codice scritto da Dio. 

Ma è davvero un Übermensch quello che si potrebbe creare con la manipolazione genetica? Nietzsche non parlava di perfezione in senso tecnico, ma di un processo di continua trasformazione, fatta di rischio e creazione di senso. Qui sta la vera contraddizione: la manipolazione genetica rischia di essere una risposta passiva, un tentativo di sfuggire al problema attraverso il controllo rigoroso, il perfezionamento ripetibile, la normalizzazione. Dunque si tratta di un nichilismo tecnico e calcolato, non del nichilismo attivo e soprattutto proattivo di Nietzsche. L’Imperfezione, prerogativa che differenzia un individuo da un altro, perdendosi aprirà la strada alla distopica omologazione, di cui siamo già testimoni in diversi ambiti oggigiorno. L’omologazione è la scomparsa del singolo, così come del pensiero critico e della voce fuori dal coro, coro che rischia di risultare monocorde e neanche troppo intonato.

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