Da Nicola Ascalone a Tiziano Pastry
Austin Delon nel suo libro “Ruba come un artista” sostiene che l’innovazione è un piccolo spazio compresso fra l’idea di uno, ideatore, pensatore, inventore, e l’idea di qualcun altro, un ladro di idee, uno scippatore di pensieri e sogni, che meglio la evolve. In sintesi l’umanità potrebbe procedere senza la necessità di inventare nulla, di migliorare nulla: basterebbe saper implementare le idee altrui, migliorarle.
Questo avviene in gradi e in piccoli cicli sistemici, dagli alti valori della nostra società (i romani non hanno forse rubato ai greci la religione, la filosofia, il pensiero?), agli oggetti più piccoli che ci accompagnando nelle nostre giornate (la penna non è forse l’evoluzione di un calamaio, che è a sua volta l’evoluzione di un piccolo bastoncino da disegno su tavolette di cera?).
Chi ruba non è meno geniale di chi crea, se dietro il suo rubare si nasconde un nuovo desiderio di innovazione. È quello che accade in un piccolo bar in provincia di Lecce, a Calimera: siamo nel 2017, è un pomeriggio come tanti, e Gabriele, che lavora nella piccola caffetteria del padre, ha una intuizione. Ma per ben comprenderla, dobbiamo fare un passo indietro, 271 anni prima e 17 kilometri più a Sud. Siamo a Galatina, è l’estate del 1745, l’aria è calda, e si respira fra le piccole strade che si inseguono una nelle altre un fermentare gioioso. Di lì a pochi giorni avrà luogo la festa patronale che vede nei santi Pietro e Paolo i protettori della città, e il paese si anima, si veste, si fa bello, caccia fuori il suo vestito migliore. È una caratteristica propria di noi cresciuti lungo le coste mediterranee quella di sentire che ogni cosa ci appartiene, che tutto è nostro, che tutto ci rappresenta, e il paese finisce per assumere i connotati di una nostra proiezione, una creatura magica che ci procura vergogna, paura, che ci fa mentire e nascondere, e talvolta anche gioire. Ogni momento di vita collettiva ci vede protagonisti : ogni festa del paese è una nostra festa, ogni sconfitta del paese è una nostra sconfitta.
Proprio in una di queste tortuose stradine, bagnata dall’ombra delle imponenti mura della chiesa madre, si trova la bottega pasticciera di Nicola Ascalone. Fra sacchi e sacchi di farine egli origlia, assiste al brusio, alle voci, al via vai continuo di un paese che si agghinda, che si fa bello. Nicola decide allora di creare un dolce facilmente distribuitile ai cittadini, che non necessiti di essere tagliato, come invece accade con le normali torte. Un dolce da passeggio, che non si sciolga con il sole o con l’afoso caldo estivo mediterraneo. Crea dunque una piccola prelibatezza di crema e pasta frolla. Ne viene fuori una squisitezza, la cui forma ne trasmette l’essenza: non un dolce per pochi, dalle grandi occasioni, dagli alti intelletti, ma un piccolo pasticcio di ingredienti squisiti, per tutti e di tutti. Nasce così il pasticciotto.
Il pasticciotto per 271 anni è nelle vetrine di piccoli borghi salentini. Per vicende più o meno sfortunate il suo paese, Galatina, smette di riecheggiargli accanto, e tutti lo appellano come “pasticciotto leccese”. È un dolce che si mangia la domenica dopo cena, la mattina a colazione, le notte d’estate al ritorno da una serata in spiaggia. È un dolce che fuori dalla stretta punta del Salento, bagnata da un lato e dall’altro dal mare, in pochi conoscono. Gabriele, 271 anni dopo, 17 kilometri più a nord di Galatina, ha una intuizione: fare del pasticciotto un prodotto nazionale, presente nella grande distribuzione, nei supermercati, nelle caffetterie di ogni città italiana.
È un sogno che appare impossibile: la piccola cucina del bar di famiglia non può produrre grandi quantità, servono inoltre dei macchinari adatti, ed una ricetta in grado di
preservarne il gusto. Ma Gabriele non si arrende e inizia studiando – così come Alan Delon consiglia – gli altri produttori già presenti sul mercato, che avevano cercato di commercializzare quella prelibatezza d’altri tempi. I difetti che nota sono moltissimi. Il formato proposto è molto grande, di circa 120-130 grammi, rendendo inappetibile il prodotto al cospetto di un cornetto o di una brioche : il pasticciotto è fatto con il latte, le uova, lo strutto, ed è nel suo complesso un dolce impegnativo, da gustare in piccole dosi. La sua forma è inoltre compatta, concorrendo a corroborare l’idea in chi lo osserva che un cornetto sia preferibile, in quanto più leggero.
Gabriele nota inoltre che tutti i pasticciotti commercializzati vengono precotti, surgelati, e infine venduti. Chi li acquista deve quindi cucinarli per poterli servire al cliente: lo stesso prodotto subisce così due cotture, perdendo traccia dei suoi aromi, del suo gusto, e la sua friabilità fra un passaggio e l’altro. Inoltre il pasticciotto precotto viene venduto in un pirottino in acciaio, per mantenerne la forma. Pirottino che costituisce un costo elevato in alcun modo recuperabile: sarebbe impossibile infatti per il produttore chiedere al bar, al ristorante, o al cliente che acquista il pasticciotto al supermercato, di restituirgli il pirottino dopo aver cotto e consumato il prodotto. È un costo ingente che finisce nel vuoto.
Nota inoltre che anche chi conosce il pasticciotto spesso orienta la sua scelta su altro, perché il gusto proposto è sempre lo stesso: crema, o per i più fantasiosi crema e amarena. Infine il packaging presente nei supermercati è triste, raffazzonato e poco invitante: questo contribuisce ad orientare nuovamente i clienti su altro.
Così Gabriele, passo dopo passo, attrezza la cucina del piccolo bar di famiglia, e disegna un prodotto con lo stesso sapore di un tempo, rispondente alle esigenze di mercato. Sceglie un formato da 80 grammi, più piccolo, più versatile. Sostituisce il pirottino in acciaio con uno in alluminio usa e getta, riducendo i costi, il peso dei bancali, e migliorando nettamente trasporto del prodotto. Produce diversi gusti, ampliando la scelta del cliente, prima ferma al semplice crema o crema e amarena. Il pasticciotto diviene anche al pistacchio, al cioccolato, al limone, alla ricotta, alla nocciola, all’olivotto. Lavora poi ad un packaging accattivante, dall’aspetto fresco e colorato, capace di catturare l’occhio del cliente che svogliatamente cammina fra i lunghi banchi surgelati di un supermercato. È un estatica questa che piace anche a ristoranti, bar e catering, i cui buyer analizzano quotidianamente prodotti simili fra di loro: non possono dunque che restare colpiti dal modo moderno e colorato di presentarsi, pur nella sua antica dolcezza. Risolve infine il più grande dei problemi inerenti la commercializzazione in larga scala del pasticciotto. Piuttosto che creare un prodotto precotto e poi surgelato, costretto ad una seconda cottura prima di essere servito al cliente, dà vita ad un pasticciotto fatto e abbattuto, la cui prima cottura avviene direttamente dopo la vendita, da parte di chi acquista il prodotto e deve consumarlo per sé, o cucinarlo per i suoi clienti. Il pasticciotto prende il nome di Tiziano, come il padre di Gabriele, dal cui bar tutto ha avuto inizio. Oggi il pasticciotto Tiziano è presente in tutto il territorio nazionale, sia nel canale Ho.Re.Ca., sia in GDO, di cui costituiscono un esempio Unicop Firenze, Carrefour, e il gruppo Maiora.
Il sogno di Gabriele può dirsi realizzato: il pasticciotto, frutto di una tradizione popolare autentica e condivisa, è oggi servito e gustato lungo i vari meandri nella nostra penisola. È un dolce di tutti e per tutti, un sintomo di gioia, in onore del festoso animo mediterraneo che Nicola Ascolane volle celebrare, e il cui gusto riesplode ancora al primo morso.