Tempo e luogo sono le misure che ci permettono di collocare gli eventi storici, umani, all’interno di un quadro che chiamiamo progresso. Di alcuni eventi siamo certi, certissimi. Scoperta
dell’America? 12 ottobre 1942. Rivoluzione francese? 14 Luglio 1789. Nascita di Roma? 21 Aprile 753 a.C. Di altri lo siamo meno, specie se ci addentriamo nel dibattito storico e storiografico. Ma uno sforzo di consapevolezza ci viene richiesto in questa sede, a fonte della lettura di questo articolo, affinché queste parole non cadano nel baratro della memoria. È bene specificare che il dove e il quando di un evento sono sempre e solo frutto di una semplificazione, di una facilitazione che ci siamo concessi per collocarci in un prima e in un dopo. Dire con certezza quando inizia o finisce qualcosa, significa ontologicamente semplificare. E questo succede sia per gli eventi storici in senso proprio, come le invenzioni scientifiche, le guerre, le rivoluzioni, sia per gli eventi in senso umano. Si potrebbe collocare temporalmente o spazialmente il momento esatto in cui in amore captum esse, in cui si è caduti nell’amore, ci si è innamorati? Certo, da bambini si semplifica molto. Si segna e nasconde nei diari l’istante in cui ci si è ci si è innamorati, e ci si lega a quel giorno come a qualcosa di imprescindibile. Ma man mano che si cresce, ci viene naturale comprendere che l’amore non ha un inizio né una fine, perché è un susseguirsi di micro frammenti, è una sequenza che non permette uscita. E allo stesso modo, come l’amore, tutto ciò che ha come soggetto l’uomo è indefinibile temporalmente. Una guerra inizia al primo colpo sferrato, o al primo ordine di sferrare un colpo? E un diritto inizia alla prima infrazione, o alla sua ideazione giuridica? O forse il diritto nasce ancor prima, e cioè preesiste all’uomo? È questo che si intende in questa sede, quando si richiede una maggiore consapevolezza storica. L’uomo è un insieme di progressioni, è sempre in una scala graduata, e in tal senso vanno visti anche l’inizio e la fine degli eventi.
Sinteticamente, banalmente, convenzionalmente, il diritto alla privacy ha una data e un luogo: 1890, Boston. Pochi anni prima, benestanti famiglie americane avevano dato alla luce due bambini, Samuel, di cognome Warren, e Louis, di cognome Brandies, protagonisti di questa storia. Samuel e Louis frequentano l’università, studiano legge, e stringono un’amicizia che è non solo condivisione di vita, ma anche e sopratutto condivisione di idee. Fondano quindi uno studio legale, e inaugurano insieme le proprie carriere. Decidono cioè di non dividersi, di proseguire uniti nel loro percorso, spinti dalla stima reciproca che li lega. È qualcosa che succede spesso, se ci facciamo caso: l’uomo è un animale sociale, e questo non significa solo che l’uomo tende ad associarsi – insediamenti, colonie, urbanizzazione, stati, consorzi, società – ma anche e sopratutto che è nell’associarsi che l’uomo trova la sua piena realizzazione. La loro unione d’intenti riscuote successo. Molti clienti, molti dollari, molta fama. Se non fosse che uno dei due, Louis, ha un sogno nel cassetto: diventare giudice. E così inizia una carriera nel sociale, carriera che gli procurerà il soprannome di “People’s Lawyer” e, pur rimanendo in ottimi rapporti con Samuel,
abbandona lo studio legale.
Samuel si ritrova solo, e tutta la fama che prima condivideva, ricade su di lui. Una donna lo nota:
la figlia del ricco bostoniano Byard. Lei è una graziosa e civettuola americana, di bell’aspetto.
Samuel non resiste e la sposa. Ma un matrimonio, si sa, è solo parte della vita degli uomini di fine Ottocento, specie degli uomini americani di fine ‘800, specie se benestanti, e specie se come Samuel, impegnati a lavorare per non recedere, nemmeno di un gradino, dalla scala del successo.
La moglie di Samuel riempie l’assenza del marito con banchetti e feste, e così il loro giardino viene presto invaso da giornalisti curiosi, che non si lasciano perdere l’occasione di urlare allo scandalo. Giornalisti attenti osservatori di ogni vizio, ogni peccato, ogni esuberanza che prende vita dietro quelle finestre. Vizi, peccati ed esuberanze che quelle finestre non sono in grado di contenere, e che da un piccolo e spesso oculo in vetro straripano, finendo sulle pagine delle gazzette del tempo.
Samuel è investito da una vergogna inaudita. Immaginatevi un uomo ferito nella sua intelligenza, che torna a casa dopo stanche giornate di lavoro da una donna che non lo ama. Immaginatevi un uomo sfiancato dalle carte, dai pensieri affannosi, dagli impegni. Un uomo che nel tragitto dall’auto alla porta d’ingresso è costretto a nascondersi, a lottare contro i flash di macchinette sfacciate, che spuntano da dentro i cespugli e dalle spalle degli alberi del suo giardino.
Immaginatevi al suo posto. Immaginatevi che l’umiliazione non finisca qui, e prosegua dentro gli occhi di chi vi guarda, e conosce qualcosa che sarebbe dovuto rimanere privato, vostro. Samuel
si intristisce, si arrabbia, si incupisce. E poi fa quello che tutti i grandi uomini nella storia fanno. Inizia a pensare. E questo suo pensare richiede il dialogo con un uomo da lui stimato, un uomo
che sappia precedere i suoi pensieri e che approcci al mondo con le sue stesse categorie
kantiane: Louis Brandies. I due si incontrano, si arrabbiano, si intristiscono, si incupiscono, e
pensano insieme. Il 15 dicembre 1890 sulla Harvard Law Review pubblicano l’articolo “The right to privacy”, testo che sancisce la nascita del moderno diritto alla privacy e costituisce la prima teorizzazione giudica al riguardo. I due amici arrivano infatti ad una conclusione. Quella per cui esiste uno spazio intimo, personale, umano, in cui ognuno ha il diritto di essere lasciato solo.
Teorizzano il così detto “Right to be let alone”. Questo significa in sintesi che Samuel aveva tutto il diritto di essere lasciato solo nel suo giardino. Di non vedervi giornalisti nascosti fra i cespugli, alla ricerca di una finestra da fotografare, o di una storia da raccontare. Significa anche e sopratutto dettare dei limiti allo stesso diritto alla privacy, e questo nel bilanciamento di altri interessi
dell’ordinamento. Di questo Louis e Samuel sono consapevoli, e dettano sette casi in cui il diritto alla privacy viene meno, come il caso in cui il soggetto presti il suo consenso, oppure quello in cui lo richieda il pubblico interesse. Perché? Perché il diritto alla privacy è uno fra i diritti più importanti di cui un soggetto dispone, ma in quanto diritto è come tutti gli altri diritti
ontologicamente limitato: se non lo fosse, se tutti i diritti nascessero senza limiti, il diritto stesso verrebbe meno. E cioè il diritto è possibile alla luce dei suoi limiti, più che delle sue possibilità.
Immaginiamo il caso in cui il diritto alla privacy fosse assoluto: Tizio uccide Caio nel suo giardino, ma la polizia non può intervenire, perché il giardino è di Tizio, e nel suo giardino Tizio ha il diritto di essere lasciato solo. Il paradosso è evidente.
Negli anni 70′ del ventesimo secolo, il diritto alla privacy che nel 1890 Louis e Samuel avevano
teorizzato come diritto negativo, e cioè diritto di non entrare nel mio giardino, diritto di essere
lasciato solo, inizia a divenire qualcosa di più: nasce l’informatica accentrata, nascono le prime
legislazioni, fra cui quella svedese, quella tedesca, quella austriaca, e si inizia a far largo l’idea che il diritto alla privacy non sia poi tanto un diritto negativo, ma un diritto positivo. E cioè il soggetto, rispetto ai dati che fornisce, può intervenire, può fare qualcosa. Gode in sintesi di quella che definiamo “situazione giuridica soggettiva attiva”. Un giro di parole molto lungo, che sta a significare una cosa molto semplice: potere. Ma cosa è il potere? È la possibilità di produrre degli effetti. È la possibilità cioè di fare qualcosa che modifichi la realtà. Significa che nessuno può entrare nel mio giardino, e che se qualcuno ci entra, io posso intervenire. Significa anche e sopratutto che, se qualcuno entra con il mio consenso, anche in questo caso, anche se ha avuto il mio consenso, io posso intervenire, e questo perché il giardino è mio, e quello che succede nel mio giardino mi riguarda.
Ma il vero cambiamento avviene fra gli anni 80’ e gli anni 2000, perché in seguito alla nascita dei personal computer e di internet, i dati che i soggetti rilasciano aumentano considerevolmente, e aumenta non solo il numero di dati da proteggere, ma anche il grado di protezione che si vuole dare a quei dati. Questo significa che il diritto alla riservatezza diviene una coperta troppo corta: i dati che si vuole tutelare non sono solo quelli riservati, ma tutti i dati di un soggetto. Non si vuole cioè proteggere un soggetto solo nel suo giardino, ma anche fuori. Non si vogliono proteggere solo le informazioni che comunemente riteniamo essere private, ma anche quelle che non lo sono.
Ci si rende in breve conto che se il diritto alla privacy non basta, è necessaria una nuova costruzione giuridica in grado di ricomprendere il maggiori numero di dati, siano questi riservati oppure no. Ecco che nasce il diritto tutela dei dati personali, un dritto che tutela non i dati in quanto tali, ma i dati in questo pertinenze in un soggetto. E cioè oggetto della tutela non sono i dati. Oggetto della tutela sono i soggetti che producono quei dati, o a cui quei dati appartengono. I dati in altre parole divengono tutelabili solo in quanto riferiti o riferibili a dei soggetti. È questa una magia del diritto, una sorta di pozione trasformatrice. Se un dato è da solo, o non appartiene ad una persona fisica, con un cuore, una testa, un corpo, non è ricoperto da alcuna tutela. Ma come quel dato diventa figlio di un soggetto, gli appartiene, lo rappresenta, è a lui anche solo potenzialmente riferibile, ecco allora che quello stesso dato diviene un oggetto preziosissimo, fragilissimo, importantissimo. È una protezione dell’individuo, della persona, prima di ogni altra cosa, quella che il diritto alla tutela dei dati ha lo scopo di raggiungere. Ma cosa intendiamo per persona? Intendiamo le persone fisiche. Se infatti quello stesso dato, invece di appartenere ad una persona fisica, appartiene ad una persona giuridica, è privo di tutela. Cosa sono le persone giuridiche? Le società di capitali, gli enti, lo Stato. E da questo limite, da questa area di non applicazione, ci appare ancor più chiara e piena la ratio della sua stessa esistenza.
Per molti anni in Italia la normativa in materia – la L. 675\1996 e il D.Lgs. 196\2003, detto anche “codice privacy”- è inefficace. E questo perché da un lato nessuno capisce l’importanza di questo diritto, né i soggetti tutelati, a cui poco interessa del loro giardino, né i soggetti gravati di obblighi e divieti a fonte di questo diritto. E dall’altro perché più una normativa è complicata, meno verrà rispettata. È una declinazione dell’animo umano quello di spazientirsi davanti a molte regole. Lo scenario cambia nel 2016 con un regolamento rivoluzionario in materia, la cui matrice europea lo ha reso direttamente applicabile e vincolante in tutti i suoi punti anche in Italia. Rivoluzionario perché invece di dettare obblighi e divieti, detta dei principi, il cui scopo è liberamente raggiungibile dai soggetti coinvolti nel trattamento dei dati personali. Cade quindi il decalogo di regole, e i cittadini si ritrovano più vicini alla legge. Il suo nome è GDPR, un acronimo che sta per General Data Protection Regulation. Esso segna l’ultima tappa all’interno del nostro percorso, un percorso che convenzionalmente inizia nel 1890, ma che è presente in molte altre vite e in molti altri popoli, se andiamo a ritroso lungo la linea del tempo. Anche i romani, gli egizi, i francesi rivoluzionari a loro modo avevano intuito che cosa fosse la privacy, in che senso un soggetto avesse il diritto ad uno spazio tutto suo, ad un giardino invalicabile. È bene cioè comprendere che i dati nascono con l’uomo, e anche se la teorizzazione giuridica è successiva, l’intuizione che ognuno avesse qualcosa di fragile e proprio ha sempre accompagnato la storia dell’uomo. E questo perché dove c’è un soggetto, ci sono tracce della sua esistenza. Un soggetto è legato alla realtà, comunica con il mondo, con gli altri, produce, crea, vive. E nel farlo è in un continuo flusso di informazioni, di dati. È il diritto più umano possibile quello che in questa sede si è cercato di spigare. È il diritto più vicino, più intimo, più rappresentativo di ciò che siamo. Alla luce di questo non è consentita alcuna declinazione di disinteresse. Disinteressarsi di questo diritto, significa disinteressarsi della propria libertà. Il giardino di Samuel e Louis adesso si è esteso. Le informazioni che ci appartengono prescindono dal loro luogo di produzione. La cura che ci è richiesta e il potere che abbiamo rispetto ai dati che ci rappresentano inonda ogni cosa. E allora è bene chiedersi: esiste ancora il nostro giardino? E se si, dove sono tacciabili i suoi confini?