Il lessico, come qualsiasi manifestazione del reale, è vittima delle stesse mode che attraversano le strade, le vetrine, e i corridoi delle nostre case. In altre parole, come sostenuto da Ludwig Wittgenstein, filosofo austriaco, padre delle considerazioni più sottili fra dimensione linguistica ed empirica, i limiti del linguaggio costituiscono i limiti del mondo. Tutto ciò che si conosce, è ciò per cui si hanno delle parole.
Questo significa brevemente che, se ci fosse concesso costruire un mega schermo, sincronizzato su tutte le lingue del mondo, sapremmo esattamente in che direzione si muove l’umanità. Alcuni giorni sarebbero identici ad altri, stesse parole, stessa realtà. Altri giorni invece sarebbero pervasi da parole orrende o bellissime. Il giorno in cui l’uomo salì sulla Luna, luna sarà stata una fra le parole più dette in assoluto, in testa al nostro mega schermo. Il giorno dell’attacco alle Torri Gemelle, parole piene di tragedia saranno invece apparse ripetutamente. E se analizzassimo quello stesso schermo su un arco decennale o ventennale, si delineerebbe più o meno naturalmente la strada dei nostri interessi e dei nostri progressi.
Questo ragionamento sembrerebbe in apparenza non condurci molto lontano. Cosa hanno in comune un mega schermo di cui stiamo immaginando qui l’esistenza, varie parole disseminate, e le famigeratissime start-up? Per ben comprenderlo dobbiamo fare un passo indietro. E questo non perché ogni ragionamento necessiti di contorni o considerazioni generali. Dobbiamo fare un passo indietro per allontanarci da una visione che rischierebbe di essere astigmatica, e analizzare il panorama da una prospettiva più lata possibile.
Start-up: un verbo, due parole, sette lettere. L’uso del termine fino a qualche decennio fa era del tutto inesistente. Non lo si conosceva, non lo si pensava, non lo si diceva, e non si tramutava in nulla che potessimo toccare, vedere, e quindi definire. Registra una fortissima accelerazione dal 2011 in poi, ed oggi seguito solo da “innovazione” e “digitale” è uno fra i termini più usati in campo tecnologico. Si pensi che dal 1992 sono oltre 1 milione e 880 mila gli articoli in lingua italiana che hanno ad oggetto l’analisi e lo studio delle start-up.
Questo significa molto, ma anche molto poco. Il fatto che prima non utilizzassimo questo termine è sufficiente per affermare che le start-up non esistessero? Lo è forse per spigare il fatto che non fossimo in grado di riconoscerle. Mi spiego meglio. Il fatto che solo nel 1846 l’uomo individua Nettuno, è sufficiente per affermare che prima Nettuno non esistesse? O ancor più semplice: prima del 1492 l’America non esisteva? O in modo semplicissimo: il fatto che Tizio non sappia minimamente chi sia Sempronio è sufficiente per sostenere che Sempronio non esista? Ovviamente no. Sulla base di questo ragionamento è dunque necessario chiedersi perché abbiamo iniziato a definire un fenomeno già esistente, e dove sono rinvenibili le sue prime tracce.
Il termine start-up come oggi lo consociamo indica una realtà ben definita. Ai sensi della normativa di riferimento – DL 179/2012, art. 25, comma 2- una start-up innovativa è una società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, che rispetti i seguenti requisiti oggettivi: è una impresa nata da non più di 5 anni, sita in Italia o avente in Italia una sede produttiva o una filiale, con un fatturato annuo inferiore a 5 milioni di euro, non quotata, che non distribuisce utili, che non è il risultato di fusione, scissione, o cessione di ramo d’azienda, e il cui oggetto sociale esclusivo o prevalente sia lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di un prodotto o servizio ad alto valore tecnologico.
Fin qui, nessun dubbio. Avrete sentito parlare recentemente di Cecilia Sala, giornalista italiana di 29 anni arrestata a Teheran il 19 dicembre e liberata dopo ventuno giorni di detenzione. Cecilia lavora per Chora Media, società specializzata nello storytelling, realtà che oggi rappresenta una fra le maggiori start-up del nostro paese. Potremmo citarne ancora altre: Subito.it, nata anch’essa come start-up, oppure Everli, un servizio di spesa online con consegna a domicilio, oppure Satispay, applicazione ideata nel 2012 da tre giovani ragazzi di Cuneo, che permette di effettuare pagamenti senza necessità di avere una carta di credito o debito. Spostandoci sul versante internazionale ritroviamo Airbnb, nata come una start-up nel 2008 per affittare materassi gonfiabili ai partecipanti di una conferenza. E ancora Netflix, che nel 1997 si presentava come servizio di noleggio DVD via posta, oggi piattaforma di streaming leader a livello mondiale. Abbiamo Spotify, fondata nel 2006 in Svezia, o Uber nata nel 2009, oggi una delle principali piattaforme di ride-hailing e trasporto a richiesta, che ha rivoluzionato il mondo di intendere il trasporto in città.
Le start-up in altre parole sono molte, di ogni genere, e per ogni esigenza. Ma quello che ci appare chiarissimo guardandole nascere ed evolversi, è che la differenza fra una start-up e un progetto risiede in una costruzione giudica ed economica, e non empirica. E cioè la start-up è un progetto come molti altri, come sempre ce ne sono stati nella storia dell’uomo, che ha tuttavia acquisito uno spazio proprio alla luce di una postuma determinazione categorica che ne è stata fatta. Lo scopo? Garantire una tutela fiscale, economica e giuridica alle nascenti idee. Anche se di start-up se ne parla da pochi decenni, le start-up sono sempre esistite: è solo la loro classificazione ad essere successiva, non la loro nascita.
Convenzionalmente, madre delle start-up si considera essere la General Electric Company, multinazionale statunitense fondata nel 1892. Siamo alla fine del XIX secolo, ad un passo dalle grandi guerre, in un mondo che pian piano inizia ad illuminarsi: le città si accendono, nasce l’elettricità. La General Electric Company è in tal senso la prima lampadina ad accendersi. Frutto dalla fusione fra la Edison Electric Light Company – società fondata da niente meno che Thomas Edison, ideatore della rivoluzionaria lampadina elettrica a filamento incandescente – e la Thomson-Houston Electric Company, è stata per più di un secolo un modello societario ed economico senza eguali. La sua fusione, curata da John Pierpont Morgan – padre della JPMorgan, uomo d’affari glorioso, prototipo newyorkese del tempo, una fra le menti più brillanti dello scorso secolo – rappresenta un cambio di rotta nella nostra storia: quello in cui le città americane ed europee iniziano ad illuminarsi. Nel 1909 vi è una miglioria della lampadina ad incandescenza. Il filamento di carbone viene sostituito da uno di tungsteno duttile, e rimane tale ancora oggi. Il resto è storia: la GE sarà al centro dell’economa mondiale per 129 anni, fino alla sua scissione nell’aprile del 2024. Nel 2020 con un fatturato pari a 80 miliardi, si è classificata tra le Fortune 500 come trentatreesima azienda degli Stati Uniti per fatturato lordo.
Nel 1892 sicuramente nessuno insignì la GE come start-up dell’anno. Eppure, molti sono gli economisti che la incoronano come tale. Costituisce in altre parole un modo nuovo di vedere e sentire il business, di flettere l’impresa alle necessità tecnologiche di una società in continuo progresso.
Alla luce di queste considerazioni ci appare chiara una conclusione. Quella per cui se analizzassimo il lessico odierno su un mega schermo sincronizzato con tutte le lingue del mondo, sicuramente l’eroico binomio che il verbo “start-up” rappresenta, avrebbe una frequenza più che consistente. Se a questa frequenza lessicale, nel passato assente, corrispondesse un vuoto fenomenologico, non ne siamo poi così sicuri. Certo è invece che l’uomo si è sempre prodigato per costruire qualcosa di grande e, pur attraverso le dure e strette vie che ogni inizio si trascina, è sempre riuscito nei suoi più grandi e passionali intenti. E di quel pezzo di storia, che del termine start-up non vede traccia, bisogna invece assumere una differente considerazione prospettica: quella di un tempo in cui non avevamo a disposizione lo stesso lessico, ma rispetto al quale simili erano i fenomeni a cui davamo vita.