La crisi del settore automobilistico in Italia è ormai conclamata: secondo i dati diffusi a inizio
dicembre dal Ministero dei Trasporti, nel mese di agosto 2024 si sarebbe verificato un calo delle
immatricolazioni del 13,4% rispetto all’anno precedente. Non sembrano essersi infatti prolungati
molto a lungo gli effetti incentivi, che invece avevano portato alla luce risultati positivi a giugno e
luglio. Tutto questo va ad inserirsi in un quadro più ampio: l’Italia, che prima era in vetta alle
classifiche per produzione di automobili, si è ritrovata al 20esimo posto nel 2023 e i dati presentati
sono indice di inerzia in tal senso.
Il caso Stellantis
Il neo principale riguarda attualmente Stellantis: come riportato nell’ambito dello stesso rapporto, nel mese di agosto l’azienda avrebbe immatricolato il 32,4% in meno delle automobili rispetto all’anno precedente. Il dato era risultato allarmante già nel momento della sua diffusione, in quanto la crisi interessava proprio la multinazionale detentrice del primato sulle vendite nel Bel Paese. Alla luce dei recenti fatti, e soprattutto a seguito della richiesta del CEO Tavares di ottenere più incentivi economici, è legittimo sostenere che la crisi si è ormai fatta mediatica, arrivando persino nelle piazze (nello sciopero del 18 ottobre) e raccogliendo il consenso di parti apparentemente incompatibili della politica italiana.
Le critiche a Tavares
Le critiche al CEO Tavares (sebbene per ragioni differenti) sembrano infatti arrivare da tutti i lati
dello spettro politico. (Da un lato) le opposizioni, non accettano la possibilità di chiudere numerosi
stabilimenti, provocando così il licenziamento di numerosi dipendenti. Tra tutti, il Senatore Carlo
Calenda, leader di Azione, ha fatto di questo caso una sua battaglia di primissimo piano, esponendosi
in numerose occasioni sulla vicenda. A suo dire, Tavares non sarebbe riuscito a rispettare le proprie
promesse, riuscendo a garantire solo la metà (nel migliore degli scenari) dei veicoli prodotti- cosa che
nemmeno la crisi del settore automobilistico potrebbe giustificare. In aggiunta a questo, i tagli al
personale già effettuati (di 11 mila unità), il minimo storico di produzione, il rinvio della gigafactory
di Termoli e la già avvenuta erogazione di 1,5 miliardi di incentivi e 703 milioni per la cassa
integrazione sarebbero parametri non in linea con le prerogative necessarie per un investimento.
Anche Conte e Schlein avrebbero rincarato la dose, tacciando Tavares di non aver dimostrato
abbastanza concretezza per il futuro nelle sue risposte.
Anche i partiti della maggioranza sembrano essere sfavorevoli alle posizioni di Tavares, reo anche di
aver accettato i parametri imposti dal Green Deal europeo a differenza di numerosi competitor.
Emblematico il commento del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, che avrebbe
infatti accusato direttamente il CEO: “Il settore dell’automotive è in crisi anche per colpa sua”. Lo
stesso concetto sembrerebbe valere anche per il presidente di Confindustria Emanuele Orsini e per
Forza Italia, che mirerebbe a modificare il Green Deal invece di adottarne le clausole (come
sottolineato anche durante all’audizione a Tavares dell’11 ottobre in Parlamento).
La difesa di Tavares
Tavares non sembra essere disposto a scendere a compromessi sulla sfida ambientale. Il CEO infatti
continua a ribadire che i limiti introdotti dall’UE a partire dal 2025 (93,6 grammi per auto, 13 in meno
rispetto al precedente anno) sono adeguati in quanto preannunciati con un anticipo sufficiente per riconvertire la produzione. La protezione dell’ambiente dev’essere infatti affrontata con l’urgenza che
merita, senza la possibilità di ritrarsi, aprendosi a cambi di rotta.
A detta di Tavares, la principale causa delle difficoltà del settore risiede invece nel costo non
competitivo della produzione in Italia, che ammonterebbe a un +30-40% rispetto ai concorrenti.
Questo sarebbe coerente con il gap tra livelli di produzione di auto in Italia e all’estero: circa 55000
veicoli per l’Italia (6a in classifica) rispetto ai più di 4 milioni della Germania (prima in classifica). Il
ragionamento combacia anche con i prezzi elevati dell’energia in Italia. Tuttavia, il costo dei
lavoratori in Germania è molto più elevato rispetto all’Italia (circa 30% in più) e persino il carico
fiscale effettivo medio per le imprese è superiore (28.5% per Germania e 23.6% in Italia).
Naturalmente, dislocando la produzione in Paesi in via di sviluppo la situazione sarebbe
completamente diversa- e in quel caso il costo della produzione in Italia rispetto ai competitor
sarebbe effettivamente alto.
Le richieste del CEO sono in definitiva ulteriori incentivi, a suo dire non per l’azienda ma al fine di
offrire un prodotto accessibile ai clienti, e soprattutto regole certe, che non siano soggette a continui
mutamenti.
Una crisi diffusa
La crisi non sembra essere ristretta all’ambito italiano- secondo il presidente dell’ACEA nonché CEO
del gruppo Renault Luca de Meo, l’intera industria europea potrebbe trovarsi costretta a pagare
ingenti somme di denaro in multe (ammonterebbero a 15 miliardi di euro) o a rinunciare ad una fetta
consistente della propria produzione. L’Europa infatti si è mossa verso l’elettrico (uno dei settori più
determinanti in questa crisi) senza essere di fatto ben organizzata: pochi investimenti e domanda
ancora troppo ristretta. Al contrario per esempio della Cina, munita sia della tecnologia che dei
materiali, che ha potuto dunque creare un mercato dinamico. Per questo motivo (ma non solo) molti
altri gruppi europei dello stesso settore stanno vedendo al ribasso le proprie stime annuali: tra queste
Bmw(da 8-10% a 6-7% sui ricavi) e Volkswagen.
Soluzioni all’orizzonte?
La situazione, con un focus su Stellantis, sembra essere arrivata ad un punto di non ritorno, con un
crescendo di tensioni a cui attualmente si fatica a trovare una soluzione. Da un lato, la sfida green è
complessa e difficile da vincere, soprattutto quando le innovazioni richiedono tempo e denaro. Inoltre,
i mercati sono in continua evoluzione e sono soggetti a cambiamenti talvolta repentini e di difficile
previsione. Resta da chiedersi: quali saranno gli effetti di questa crisi sull’occupazione in Italia, anche
e soprattutto nella prospettiva dell’entrata nel mondo del lavoro delle nuove generazioni? Benché non
sia possibile dare una risposta certa.