Tra impact economy e leadership sistemica, la nuova traiettoria dell’innovazione.


Essere leader, oggi, non coincide più esclusivamente con la capacità di generare profitto.
Piuttosto, implica l’attitudine a creare valore duraturo, riducendo le disuguaglianze e preservando l’equilibrio ambientale.

L’idea di successo non si esaurisce più nella mera crescita economica: si amplia, incorporando la sostenibilità, la giustizia sociale e la responsabilità intergenerazionale. Coloro che si candidano a guidare imprese, istituzioni o comunità sono consapevoli che il vero capitale non si misura più solo in termini finanziari, bensì nel valore umano, e che l’impatto di un progetto si valuta non soltanto nei numeri, ma nella sua capacità di ridurre le disparità.

Non sorprende, dunque, che termini come redistribuzione, impatto, sostenibilità e giustizia intergenerazionale siano ormai entrati stabilmente nel vocabolario dei giovani imprenditori, innovatori e decisori politici.

Questo mutamento è sorretto da un dato incontrovertibile. Infatti, le generazioni nate dopo il 1995 non si accontentano più di criteri valutativi tradizionali. Per esse, un’impresa che cresce alimentando il divario sociale non rappresenta un modello auspicabile, e un’istituzione priva di una visione collettiva rischia di risultare anacronistica. Anche una recente indagine di McKinsey rivela come oltre il 70% dei giovani professionisti ritenga imprescindibile il nesso tra performance economica e riduzione delle disuguaglianze.

Non si tratta di idealismi lontani dalla realtà, in quanto numerose startup e realtà pioniere dell’impact economy dimostrano che l’equità, se ben misurata e ottimizzata, non ostacola la crescita, bensì la amplifica.

Esemplari in tal senso sono aziende come Patagonia o B Lab, così come le piattaforme di finanza sostenibile che hanno emesso i primi green bond. Questi attori hanno innalzato nuovi standard di trasparenza, ponendo l’accento non solo sui ricavi, ma anche sulla formazione dei dipendenti, l’impegno nel volontariato e la riduzione delle emissioni. È su questo terreno concreto che si va ridefinendo il concetto stesso di valore, non più circoscritto al mercato, ma radicato nelle comunità.

In tale scenario, la leadership richiesta è profondamente trasformata. Non bastano più una laurea d’élite o una brillante carriera, ma occorrono doti di dialogo con interlocutori eterogenei – dal board aziendale al rappresentante civico – e capacità analitiche unite a una sensibilità verso istanze che sfuggono alla quantificazione. Si tratta di una leadership ibrida, che coniuga competenze tecniche e soft skills evolute, come il pensiero critico per individuare le contraddizioni dei modelli esistenti, una visione sistemica capace di prevedere impatti indiretti, ed empatia strutturata (cosa molto rara) in processi decisionali partecipativi.

Numerosi ambiti stanno dunque diventando veri e propri laboratori di sperimentazione: spazi fisici e digitali in cui giovani laureati, innovatori sociali e amministratori pubblici si confrontano su soluzioni condivise. Tra questi, i laboratori di economia circolare promossi da università e fondazioni, gli acceleratori di startup inclusive e le piattaforme di co-progettazione con gli enti locali per la ridefinizione dei servizi pubblici in chiave digitale e accessibile.

Qui, il paradigma valutativo si trasforma. Non si misura più soltanto il ritorno dell’investimento, ma si valorizza l’impatto generato in termini di benessere, coesione sociale e tutela dell’ambiente.

L’aspetto realmente innovativo di tale trasformazione risiede nel superamento della tradizionale dicotomia tra interno ed esterno dell’impresa. Il percorso di crescita aziendale diventa così anche percorso di inclusione, instaurando un circolo virtuoso in cui la cura verso i dipendenti e le comunità rafforza reputazione, fidelizzazione e solidità economica. Non si tratta di sacrificare la competitività. Al contrario, i modelli fondati su questi principi spesso ottengono risultati paragonabili – se non superiori – rispetto ai competitor tradizionali.

Tuttavia, muta il criterio di valutazione: il successo non è più relegato al breve termine o al profitto immediato, bensì alla capacità di costruire un capitale fatto di relazioni, fiducia e sostenibilità. È una prospettiva di lungo periodo, consapevole che le sfide globali – cambiamento climatico, disuguaglianze, crisi demografica – richiedono risposte sistemiche e leadership visionaria.

In definitiva, il triangolo tra economia, equità e futuro non è una suggestione teorica, bensì una bussola concreta per orientarsi in un mondo sempre più complesso. E se davvero la leadership di domani avrà questo volto, sarà essenziale ascoltare coloro che, con creatività e determinazione, stanno già delineando nuove traiettorie. Sono migliaia i giovani che stanno scommettendo su questo approccio, scegliendo di innovare, partecipare e, soprattutto, di farsi sentire.

In conclusione, segnaliamo che questo dibattito costituirà il cuore del nostro panel al Festival dell’Economia di Trento 2025, dal titolo:
“Nuove generazioni, nuove imprese: il futuro passa attraverso la responsabilità sociale d’impresa”.
Sarà un’occasione preziosa per approfondire esperienze virtuose e riflettere su come tradurre tali visioni in prassi concrete, in dialogo con relatori di elevato profilo.

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