A Milano, nel cuore pulsante dell’innovazione italiana, sta prendendo forma una piccola rivoluzione della mobilità urbana condivisa: si chiama Wayla, ed è già entrata a far parte della quotidianità di molti studenti e giovani professionisti, grazie anche a partnership strategiche con università come IULM.
Abbiamo intervistato Mario Ferretti, Chief Strategy Officer di Wayla, per capire come una startup “purpose-driven” possa riscrivere le regole della mobilità e del fare impresa con impatto sociale reale.
Non solo trasporto: la mobilità come progetto di sostenibilità (autentica)
“Il nostro servizio – racconta Ferretti – è sostenibile per definizione: ogni corsa condivisa significa meno veicoli privati in circolazione, città più vivibili, meno emissioni e un impatto concreto che misuriamo in chilometri risparmiati e in sicurezza per le persone”. Ma la CSR di Wayla va oltre l’ambiente: la sostenibilità, per loro, è anche sociale ed economica, offrendo soluzioni accessibili anche a chi ha poche risorse, con costi all’incirca dimezzati rispetto a un taxi e sconti per gruppi o convenzioni con atenei. “Portiamo un servizio pratico e sicuro anche nelle zone meno coperte dai mezzi, e vogliamo espanderci proprio là dove cambiare il modo di muoversi può cambiare la vita delle persone”.
Il valore della community e la narrazione autentica
Ferretti insiste su un punto: la differenza la fa la community, “quella che si crea a bordo dei nostri van – nessuna app può sostituire il senso di appartenenza tra persone che credono in valori comuni, dalla sostenibilità alla sicurezza”. In un’epoca di greenwashing di facciata, Wayla sceglie di raccontare sé stessa partendo dai fatti: chilometri condivisi, vite che si sfiorano e percorsi che uniscono. “Il viaggio inizia già nel van, l’esperienza di città si vive anche negli scambi tra sconosciuti che scelgono responsabilmente di spostarsi insieme”.
La tecnologia è solo il mezzo: la strategia è nel cambiamento culturale
Nata importando e adattando un modello di successo internazionale, Wayla ha dovuto superare ostacoli normativi e culturali tipici del contesto italiano. In un settore storicamente bloccato e poco aperto all’innovazione, il vero “disruptor” è chi porta idee, competenze e metodo da altri mondi: “Nessuno di noi veniva dal settore della mobilità. Siamo outsider che hanno saputo vedere nel van pooling una risposta scalabile a bisogni rimasti silenti troppo a lungo in Italia” spiega Ferretti. Chiaro il messaggio ai giovani: la competenza tecnica conta, ma ancora di più contano il coraggio di portare innovazione e la capacità di adattare modelli esistenti al tessuto culturale e normativo del nostro Paese.
Obiettivi: impatto locale, ambizione globale
Il sogno di Wayla è diventare un player internazionale, partendo da una solida base milanese e puntando a espandersi in almeno altre cinque città italiane in breve, per poi guardare all’Europa e alle grandi capitali in cui il tema della città vivibile unisce pubblico e privato. Nel frattempo, la priorità è consolidare la rete, integrare la piattaforma tecnologica con nuove funzioni data-driven e rafforzare il dialogo con stakeholder pubblici e privati: “L’ecosistema più fertile non è sempre quello più grande o ricco, ma quello in cui stakeholder e comunità sono pronti ad accogliere e supportare l’innovazione”, conclude Ferretti.
Wayla è un esempio concreto di come la CSR possa diventare motore di business, innovazione sociale e cambiamento culturale, narrata in prima persona e vissuta ogni giorno da chi crede che il futuro della mobilità sia già (condiviso) oggi.