Oggigiorno le competenze tecniche hanno assunto un ruolo di primo ordine tanto nella ricerca scientifica quanto all’interno delle aziende. Con l’avvento dell’intelligenza artificiale, pare addirittura possibile fare a meno dell’intervento umano raggiungendo obiettivi a tratti imprevedibili. Ma è davvero così? La nostra essenza, pregna di vizi e virtù, è definitivamente giunta al capolinea, soppiantata da quel progresso che lei stessa ha affinato nel corso dei millenni?
Il progresso passa per mezzo delle scienze sociali
Non c’è dubbio sul fatto che la scienza e la tecnologia abbiano compiuto passi da gigante permettendo un netto miglioramento delle prospettive sociali. Tuttavia, occorre comunque chiedersi: che cos’è l’evoluzione senza la vita umana? Può un mero meccanicismo comprendere i nessi dati ad intendere, sottesi alla maggior parte delle relazioni intrattenute nel corso della vita?
La risposta a questa domanda è tutt’altro che scontata: progresso ed umanità rappresentano due facce della stessa medaglia che, influenzandosi reciprocamente, concorrono a determinare quella stessa visione precorritrice che tanto viene oggi stimata e apprezzata.
Chiunque tenti di rompere questo equilibrio millenario risulterà sempre claudicante. In aggiunta, perpetuare una dicotomia come quella tra cultura umanistica e cultura scientifica diventa addirittura controproducente. A dimostrarlo è il mondo del lavoro, ove un background improntato all’eterogeneità può assicurare traguardi qualitativamente superiori.
Il pensiero critico
Esistono qualità e competenze strettamente personali che, applicate al mondo del lavoro, possono fare la differenza. Tra queste, anzitutto il pensiero critico, meglio conosciuto come critical thinking, un complesso processo mentale grazie al quale prendono vita inferenze logiche tali da erodere la superficie universalmente visibile e riconoscibile. Il quid sta nell’oltrepassare la mera accumulazione e memorizzazione seriale di informazioni analizzando e valutando queste ultime in modo obiettivo, per poi giungere ad un giudizio o ad una decisione assolutamente autonoma e consapevole, scevra da pregiudizi e preconcetti. Così facendo, si mette in discussione la realtà circostante, dando quindi modo alla propria soggettività di manifestarsi senza alcun tipo di condizionamento esterno.
Il nostro cervello, macchina complessa ma tutt’altro che perfetta, è per sua natura improntato all’istantaneità: non a caso, secondo la teoria formulata dallo psicologo Daniel Kahneman, essendo l’uomo un essere fortemente irrazionale, subisce quotidianamente forme di distorsione cognitiva, i cosiddetti bias, ossia processi cerebrali inconsci che, influenzati dalle emozioni, conducono a valutazioni errate ed affrettate; ecco spiegato il motivo per cui è molto più probabile limitarsi alla superficie anziché scavare in profondità. L’unico modo per placare quello che Kahneman definisce “Sistema 1” del cervello è per l’appunto agire criticamente, il che tradotto in termini spiccioli significa porsi domande interiori.
Fatte queste opportune premesse, il fatto che il World Economic Forum abbia citato il pensiero critico come competenza chiave nel mondo del lavoro del futuro non stupisce affatto. Seguendo questa linea, le persone maggiormente inclini alla messa in discussione di quanto viene proferito sanno adattarsi meglio e in tempi assolutamente ragionevoli al mercato del lavoro in perenne evoluzione.
Allenare il pensiero critico studiando
Come tante altre competenze, anche il pensiero critico si può allenare: vari studi dimostrano come gli studi umanistici – in specie letteratura, storia, filosofia – siano quelli maggiormente deputati alla gestione delle soft skills. Il motivo è presto detto: le humanities, cogliendo le opportunità offerte dal digitale, hanno saputo fondere due mondi apparentemente distanti tra loro, l’umanesimo e la tecnologia, ed è per questo che quanti intraprendono percorsi di questo tipo, data l’enorme versatilità sperimentata sul campo, non hanno difficoltà a trovare poi impiego in settori anche prettamente scientifici. Tutto merito del pensiero critico.
Perché è importante?
In un mondo sempre più affollato di dati e previsioni statistiche, essere dotati di pensiero critico significa valutare preventivamente gli effetti dei fenomeni presi in considerazione, implementando strategie tali da contenere eventuali problemi ed ottimizzare i risultati. Questi ultimi passaggi sono parte integrante delle professioni più disparate, dalla medicina alla ricerca accademica, passando per la finanza e il giornalismo. In tutti questi casi, si considera il pensiero critico come competenza trasversale necessaria per favorire lo sviluppo di altre soft skills, tra cui la creatività, l’empatia, il teamworking e la leadership.
All’interno delle aziende, invece, il pensiero critico si traduce nella ricerca e nell’assunzione di soluzioni alternative in tempi celeri. Un esempio concreto di quanto poc’anzi detto lo si può ritrovare nella gestione delle crisi interne. Difatti, la buona riuscita di una strategia di crisis management è data dal saper controbilanciare un alto grado di emotività, causato da un sopraggiunto imprevisto, con la ferma razionalità ottenibile per mezzo di un processo di valutazione analitica; in quest’ultimo caso possiamo assimilare il pensiero critico ad un’altra soft skill molto importante, ovvero il problem solving.
Pensiamo poi al macroambito delle risorse umane: un percorso di reclutamento gestito con fermezza ed in modo critico permette di individuare aree di potenziale sviluppo, ma anche di criticità, allocando di conseguenza le risorse disponibili.
In conclusione
L’obiezione, a questo punto, potrebbe essere la seguente: raggiungere gli stessi risultati in minore tempo e con un dispendio nettamente inferiore di energie facendo esclusivo affidamento alla tecnologia.
Per rispondere, dobbiamo immaginare la relazione con l’eventuale interlocutore sotto forma di iceberg, in cui la piccola porzione visibile rappresenta ciò che viene detto, l’insieme degli studi compiuti e delle esperienze accumulate, mentre la parte sommersa – decisamente più impattante – costituisce il non detto, l’implicito. Viene difficile pensare che una tecnologia, per quanto affinata, possa raggiungere quest’ultimo stadio, portando in superficie elementi che, una volta inseriti nel processo produttivo, siano in grado di assicurare un discreto grado di successo.
Nonostante il mondo proceda sempre più spedito verso la semplificazione, l’esercizio del pensiero critico, benché più oneroso a livello intellettivo, assicura sempre e comunque buoni risultati. Questo dovrebbe essere sufficiente per capire l’estrema necessità delle scienze umane, anche nei casi in cui il contesto nel quale si è calati è a propulsione economica.
Di Fiammetta Freggiaro – Vicedirettrice editoriale politicamag.it