Accesso al mercato del lavoro: le sfide da affrontare


Non passa giorno in cui non si registri un cambiamento del mercato del lavoro, ed è così che tra professioni nascenti e bacini imprenditoriali in perenne metamorfosi, chi interrompe il cammino è perduto. Ma prima ancora di avventurarsi nella ricerca dello stesso, subentra una questione di difficile soluzione: cercare lavoro è un lavoro, ma i pretendenti lavoratori dispongono di strumenti tali da poterlo fare nel migliore dei modi?

Il gap tra lavoro e nuove generazioni

Diploma, laurea e lavoro stabile, pressoché lo stesso fino al raggiungimento dell’età pensionabile: questo, in estrema sintesi, il decorso professionale vissuto in prima persona dalle generazioni X e Baby Boomer. Una linea retta e ben definita diametralmente opposta a quella afferente all’odierna quotidianità. Laddove prima c’era crescita e prosperità economica, oggi invece ritroviamo alti tassi di inflazione e grande volatilità degli indici finanziari, tutte variabili che incidono enormemente sul mercato del lavoro rendendolo instabile. I dati parlano chiaro: chi oggi accede al mercato del lavoro cambierà almeno dieci posizioni professionali nell’arco della propria carriera

Le conseguenze sono palpabili: l’iperspecializzazione di alcuni comparti professionali e l’estensione del divario tra domanda ed offerta, fattori che rendono il traguardo lavorativo sempre più un lontano miraggio. 

A farne le spese sono i più giovani, che non solo devono fare i conti con il mismatch esistente tra la teoria appresa e la pratica richiesta, ma addirittura riferiscono di sentirsi abbandonati nell’accesso alle professioni. A documentare la desolazione di questo scenario è l’Osservatorio Jobiri con il report “In cerca di futuro: cosa blocca i giovani nella ricerca lavoro”, che ha intercettato oltre 1.000 giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni e le rispettive difficoltà nel trovare una prima occupazione. 

Mancato supporto alla ricerca del lavoro

Tra i primi punti documentati dal report, il gap tra un mercato del lavoro che richiede grande resilienza e la frequente scarsa propensione ad affrontarlo. La causa va ricercata anzitutto nel mancato supporto alla ricerca dell’impiego; è qui che subentra la cardinalità delle istituzioni, la cui funzione dovrebbe essere quella di incanalare, con il supporto di personale qualificato, talenti e pulsioni all’interno dei bacini professionali. 

Ad oggi, lo scenario pare pressoché immutato: il 77% dei giovani riferisce la mancanza di supporto alla ricerca di un impiego, e in molti casi l’assunzione continua a sopraggiungere grazie a reti informali, oppure a seguito della consultazione autonoma degli annunci di lavoro. 

I problemi

Flebile e frastagliata l’azione assicurata dai centri per l’impiego, le strutture gestite a livello regionale volte a favorire l’inserimento lavorativo: data la carenza cronica di personale, la mole impetuosa di richieste insolute non solo diminuisce la qualità dei servizi di orientamento offerti, ma limita fortemente anche le attività di formazione alla ricerca dell’impiego. 

Si tratta di un problema spiccatamente italiano, tant’è vero che svolgendo un’analisi comparata con altri Paesi dell’Unione europea, il risultato che ne consegue è tutt’altro che positivo: in Italia, ogni operatore di un centro per l’impiego deve seguire in media 254 disoccupati, un numero molto superiore rispetto ai 54 della Francia e ai 30 della Germania

Le preoccupazioni 

Non c’è quindi da stupirsi se ansia, confusione e solitudine sono alcuni dei sentimenti maggiormente attestati tra i più giovani nella ricerca di un lavoro. Il blocco emotivo che ne consegue, aggravato dal non ricevere input positivi rispetto al proprio profilo professionale, non fa altro che incrinare un quadro già di per sé particolarmente complesso, segnato da grande rassegnazione e paura. Questo è il motivo per cui molti giovani candidati finiscono con l’autoconvincersi di non essere sufficientemente competenti, allontanandosi da posizioni professionali per le quali esisterebbero invece le capacità richieste. 

Valorizzazione delle competenze

Anche laddove sussiste costanza e forza di volontà, in molti casi la valorizzazione delle esperienze pregresse, così come degli studi compiuti, diviene un’impresa piuttosto ardita. A ciò va poi aggiunto un uso frequentemente inefficace dei social professionali – basti considerare che il 72% dei giovani intercettati riferisce di avere profili LinkedIn poco accurati o non aggiornati – e una scarsa propensione al networking. Ecco spiegato perché ottenere un colloquio, dunque superare almeno una prima fase di sbarramento funzionale alla selezione dei futuri dipendenti, è cosa tutt’altro che scontata. 

Le possibili soluzioni

In sintesi, prima ancora di studiare l’evoluzione del lavoro, sarebbe opportuno valutare una formazione specifica per giungervi preparati. Impossibile tralasciare, in questo senso, l’implementazione dell’intelligenza artificiale, funzionale per esempio all’ottimizzazione delle posizioni professionali, così come il potenziamento dei servizi di career coaching, rendendo questi ultimi disponibili capillarmente. 

La vera svolta deve però avvenire a livello formativo, con la simulazione sistematica dei colloqui di lavoro. Ciò che manca, dunque, è un processo a più fasi, tale da contemplare un’intersezione effettiva delle ordinate – scuole, università, istituzioni – e delle ascisse – aziende, centri di ricerca e pubblica amministrazione.

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