La rivoluzione delle startup Climate Tech: capitali record e innovazione in energia, agricoltura e trasporti


Le startup che combattono il cambiamento climatico stanno richiamando investimenti senza precedenti e rivoluzionando settori chiave come energia, agricoltura e trasporti. Dall’energia pulita all’agritech sostenibile fino alla mobilità elettrica, queste giovani aziende stanno attirando capitali record, spingendo soluzioni innovative su larga scala e aprendo nuove opportunità di mercato – il tutto mentre affrontano sfide strategiche e operative. In questo articolo in stile Forbes analizziamo l’ascesa delle climate tech startup, con dati aggiornati, esempi concreti e uno sguardo alle opportunità e ai rischi per investitori e imprenditori del settore.

Investimenti record nelle startup climate tech

Il settore delle climate tech startup (tecnologie per il clima) ha vissuto una crescita esplosiva negli ultimi anni, attirando flussi di capitale sempre più ingenti. Dopo il picco storico del 2021-2022, il mercato ha subito un raffreddamento nel 2023, in parte per le condizioni economiche generali, ma si è dimostrato sorprendentemente resiliente. Infatti, gli investimenti di venture capital nel climate tech sono calati del 40% nel 2023, meno del crollo medio del 50% registrato nel VC globale, e nel 2024 il settore è rapidamente rimbalzato. Questa capacità di tenuta riflette una consapevolezza crescente: il climate tech è ormai considerato un comparto strategico sia per la sostenibilità ambientale che per il potenziale economico.

A livello geografico, l’Europa si è distinta come leader in investimenti climate tech, con 23,5 miliardi di dollari spesi nel 2024 – più di qualsiasi altra regione. Regno Unito, Svezia e Germania sono emersi come hub di innovazione sostenibile, mentre gli Stati Uniti – grazie a forti incentivi pubblici – sono tornati in testa per capitali raccolti, superando la Cina nel 2024. Negli USA, l’Inflation Reduction Act (IRA) ha fatto da volano, catalizzando centinaia di milioni di dollari in progetti di energia pulita e rafforzando la fiducia degli investitori. Allo stesso tempo, molti grandi gruppi industriali e corporate hanno creato fondi venture dedicati al clima, partecipando in circa un quarto di tutti i deal del settore negli ultimi annipwc.com.

Questa corsa al climate tech è motivata anche dalle dimensioni colossali delle opportunità di transizione ecologica. Le stime indicano infatti che, per centrare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, serviranno investimenti cumulativi per 44 mila miliardi di dollari entro il 2030. In altre parole, la decarbonizzazione di energia, trasporti, industrie e agrifood richiederà capitali ingenti e pazienti – e gli investitori, fiutando il potenziale, hanno iniziato a riversare fondi in startup che promettono di rimodellare l’economia in chiave green.

Un’infografica di Redwood Materials annuncia un round di finanziamento da 1 miliardo di dollari, evidenziando la scala dei capitali che affluiscono nelle startup climate tech. Aziende come Redwood (USA, riciclo batterie) e H2 Green Steel (Svezia, acciaio verde) hanno raccolto finanziamenti enormi per accelerare la transizione energetica.

Energia: il traino degli investimenti climate tech

Si tratta di aziende che sviluppano soluzioni per la generazione, lo stoccaggio e l’uso efficiente di energia a basse emissioni. In particolare, gli investitori hanno puntato su innovazioni come l’idrogeno verde, le batterie di nuova generazione, le energie rinnovabili e persino la fusione nucleare. Non a caso, due venture nel campo dell’idrogeno e dei carburanti alternativi hanno raccolto oltre 1 miliardo di dollari ciascuna nell’ultimo anno, e più di 30 startup dell’energia hanno chiuso round da almeno 100 milioni l’una – cifre impensabili fino a pochi anni fa.

Un esempio emblematico è Redwood Materials, startup americana fondata dall’ex CTO di Tesla JB Straubel, che si occupa di riciclo e produzione di materiali per batterie. Redwood ha chiuso un round da oltre 1 miliardo di dollari a fine 2023, portando a quasi 2 miliardi il capitale raccolto in equity (a cui si aggiunge un prestito agevolato da 2 miliardi del Dipartimento dell’Energia) per costruire una filiera sostenibile di batterie negli Stati Uniti. Questi investimenti record mirano a risolvere nodi critici della transizione energetica: Redwood, ad esempio, punta a riciclare le batterie dei veicoli elettrici e produrre nuovi catodi e anodi con materiali recuperati, riducendo la dipendenza da materie prime vergini e tagliando l’impronta di carbonio del settore.

Anche in Europa si registrano casi notevoli: la svedese H2 Green Steel sta costruendo impianti siderurgici alimentati a idrogeno verde e ha ottenuto un finanziamento gigantesco – 372 milioni di dollari in equity affiancati da 4,5 miliardi di debito – per avviare la produzione di acciaio a zero emissioni. Allo stesso modo, la tedesca Sunfire, produttrice di elettrolizzatori per idrogeno, ha chiuso un round Serie E e ricevuto ulteriori prestiti dalla BEI per espandere la capacità produttiva.

Oltre alla generazione pulita, un altro ambito caldo è lo stoccaggio energetico di lunga durata, considerato essenziale per bilanciare reti rinnovabili al 100%. Startup come Form Energy (USA) stanno sviluppando batterie innovatrici al ferro-aria per accumulo di giorni, e hanno già raccolto finanziamenti importanti (Form Energy ha superato i $800 milioni raccolti cumulativamente). Altre, come la californiana Antora Energy, puntano sullo stoccaggio termico (immagazzinando calore in materiali speciali) e anch’esse hanno attratto round consistenti. Questo fermento innovativo nell’energia è sostenuto anche dall’AI: diverse startup stanno integrando l’intelligenza artificiale per ottimizzare reti elettriche, migliorare l’efficienza degli impianti rinnovabili e gestire la domanda energetica in tempo reale

Il risultato è che il settore energia nelle climate tech startup si presenta oggi come maturo e diversificato: si va dai progetti ambiziosi (e capital-intensive) come eolico offshore galleggiante, idrogeno e nucleare avanzato, fino a soluzioni software e di smart grid che richiedono meno capitale ma possono avere impatto immediato sull’efficienza. Per gli investitori, l’energy tech rappresenta l’area con maggiore potenziale di riduzione rapida delle emissioni su larga scala, motivo per cui continua a calamitare una quota dominante dei capitali.

Agricoltura sostenibile: innovare il cibo e la terra

Il food & agritech è un altro settore cruciale nella lotta al cambiamento climatico. L’agricoltura e l’uso del suolo sono responsabili di una parte significativa delle emissioni globali di gas serra, ma storicamente hanno attirato una fetta molto più piccola dei finanziamenti climate tech. Questo significa che esiste un gap – e dunque un’opportunità – tra l’impatto climatico del settore agroalimentare e i capitali investiti per decarbonizzarlo. Di recente, tuttavia, si vedono segnali positivi: le climate tech startup focalizzate su agricoltura sostenibile e tecnologie alimentari stanno riscuotendo un interesse crescente da parte sia degli investitori sia dei governi, man mano che aumenta la pressione a ridurre le emissioni dell’agricoltura. Dalla vertical farming alle soluzioni di precision farming, fino alle nuove proteine alternative, l’innovazione sta iniziando a trasformare anche questo settore tradizionalmente difficile da decarbonizzare.

Un caso notevole è quello di Pivot Bio, startup biotech californiana che produce fertilizzanti biologici a base di microbi per sostituire l’azoto chimico sintetico. L’uso massiccio di fertilizzanti convenzionali in agricoltura genera gas serra (protossido di azoto) e inquinamento diffuso; Pivot Bio ha sviluppato colture di microrganismi che fissano l’azoto dall’aria e lo rilasciano alle piante in modo naturale. Questa soluzione ha convinto gli investitori: Pivot Bio ha raccolto 430 milioni di dollari in un round Serie D guidato da fondi di prim’ordine come DCVC e Temasek, portando la valutazione vicina ai 2 miliardi di dollari. La tecnologia potrebbe ridurre di oltre il 7% le emissioni agricole globali legate ai fertilizzanti, rendendo l’investimento non solo etico ma anche potenzialmente molto remunerativo se adottata su larga scala.

Anche l’agricoltura indoor e verticale sta attirando capitali record. La statunitense Plenty, che costruisce fattorie verticali high-tech, ha chiuso il più grande round di sempre per questo settore: 400 milioni di dollari raccolti in un Serie E a cui hanno partecipato giganti come SoftBank e Walmar. L’azienda coltiva verdure a foglia in impianti controllati senza pesticidi e con un consumo d’acqua ridotto del 95%, e la partnership con Walmart mira a portare i suoi prodotti sugli scaffali della grande distribuzione, segno di una maturazione commerciale del modello. In Europa, la berlinese Infarm (agricoltura verticale modulare) e altre startup stanno implementando sistemi per avvicinare la produzione alimentare ai centri urbani, riducendo trasporto e sprechi.

Oltre al verticale, c’è fermento nel campo delle sementi resilienti e della digitalizzazione agricola. Startup supportate dall’AI stanno selezionando varietà colturali più resistenti a siccità e caldo estremo, importanti per mantenere le rese in un clima che cambia. Altre offrono piattaforme di precision farming con sensori e algoritmi che permettono agli agricoltori di ottimizzare irrigazione, fertilizzazione e uso del suolo, tagliando emissioni e costi. Anche i sostituti delle proteine animali (es. carni vegetali o latte alternativi) hanno prosperato come area climate tech: basti pensare a Beyond Meat o Impossible Foods, un tempo star dell’innovazione food. Tuttavia, va notato che l’interesse degli investitori per i prodotti “fake meat” ha subito un calo dopo il boom iniziale – complici sfide nel conquistare i consumatori e margini risicati – lasciando spazio a un nuovo filone di startup B2B focalizzate su ingredienti sostenibili per l’industria alimentare. Questo evidenzia come nel climate tech agroalimentare sia fondamentale unire la sostenibilità ambientale con modelli di business solidi: le startup che aiutano davvero agricoltori e aziende alimentari a essere più efficienti e resilienti (anziché tentare di cambiare di colpo le abitudini dei consumatori) sono quelle che stanno guadagnando terreno presso gli investitori.

Nel complesso, agricoltura e food tech rappresentano un enorme campo di innovazione ancora in fase iniziale. Per gli investitori pazienti, sostenere queste startup significa non solo contribuire a ridurre emissioni e mitigare i rischi climatici sulla sicurezza alimentare, ma anche posizionarsi su mercati dal potenziale miliardario – dalla nuova green revolution nei fertilizzanti bio fino al “carne 2.0” e alle fattorie robotizzate del futuro.

Trasporti a zero emissioni: la nuova mobilità green

Il settore trasporti è il terzo pilastro della rivoluzione climate tech, con un focus sull’elettrificazione e sui combustibili alternativi per ridurre drasticamente le emissioni dei trasporti terrestri, aerei e marittimi. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un boom delle startup legate alla mobilità sostenibile, tanto che nel 2024 quelle focalizzate su trasporto e mobilità hanno attirato la seconda quota più alta di finanziamenti climate tech, subito dopo l’energia. A guidare questo segmento sono principalmente le soluzioni per la mobilità elettrica: la diffusione di veicoli elettrici (EV) ha aperto spazio a startup in ogni anello della filiera, dalle nuove case automobilistiche elettriche, alle reti di ricarica e alle batterie avanzate.

Il caso più emblematico è quello di Tesla, che da startup è diventata la casa automobilistica di maggior valore al mondo, ma dietro di sé ha aperto la strada a una generazione di nuove imprese. La statunitense Rivian, ad esempio, è emersa come uno dei principali sfidanti nell’elettrico (soprattutto SUV e pick-up): prima di quotarsi in Borsa nel 2021 aveva raccolto oltre 10 miliardi di dollari da investitori come Amazon e Ford, e nel 2024 ha ottenuto un’ulteriore iniezione di 1 miliardo di dollari sotto forma di finanziamento convertendo da Volkswagen per accelerare lo sviluppo di nuovi modelli EV in partnership con il colosso tedesco. Parallelamente, startup specializzate nelle infrastrutture di ricarica come ChargePoint (USA) o la svedese Northvolt (che produce batterie su larga scala per EV) hanno ottenuto valutazioni miliardarie man mano che i veicoli elettrici entrano nel mainstream.

Ma la rivoluzione della mobilità climate tech non si ferma alle auto elettriche. Un’area in forte crescita è quella dei camion e mezzi pesanti a emissioni zero: aziende come Tesla (Semi) e la svedese Volta Trucks hanno sviluppato camion elettrici, mentre la americana Amogy sta sperimentando camion alimentati ad ammoniaca e celle a combustibile. Nel trasporto urbano, startup di micromobilità elettrica (dalle e-bike ai monopattini) hanno proliferato, anche se il loro contributo alla decarbonizzazione è minore rispetto a quello di autobus e camion elettrici.

ZeroAvia ha già all’attivo diversi round di finanziamento (tra cui un consistente aumento di capitale nel 2023 guidato da Airbus Ventures) e ha dimostrato prototipi in grado di far volare piccoli aerei con idrogeno. L’interesse verso l’aviazione a idrogeno e i carburanti sostenibili per jet è in forte crescita, poiché l’industria aeronautica ha impegni di decarbonizzazione ambiziosi ma poche alternative praticabili. In parallelo, alcune startup stanno producendo carburanti sintetici (e-fuels) ricavati da CO₂ e fonti rinnovabili, che potrebbero alimentare gli aerei attuali riducendo l’impronta carbonica senza richiedere nuovi motori – un esempio è la partnership tra Siemens Energy e Porsche per produrre e-fuel in impianti pilota in Sudamerica.

Per il trasporto marittimo, stanno emergendo soluzioni a ammoniaca o metanolo verde come combustibili navali, nonché vele ad alta tecnologia e sistemi di propulsione ibrida per tagliare consumi. Ad esempio, Maersk ha investito in navi alimentate a metanolo neutro in carbonio, e startup come Silverstream sviluppano tecnologie per ridurre la resistenza delle navi migliorandone l’efficienza.

Va sottolineato che il 2025 potrebbe segnare un’accelerazione ulteriore in questi ambiti: secondo gli esperti, tecnologie come i carburanti sostenibili per l’aviazione, lo shipping a emissioni zero, lo stoccaggio energetico di lunga durata e anche soluzioni per cemento e acciaio a basse emissioni vedranno una crescita esponenziale e un avvio di scala commerciale già nei prossimi mesi. In altre parole, dopo gli EV e le rinnovabili, una seconda ondata di innovazioni climate tech nei trasporti e nell’energia pesante sta per entrare in scena, aprendo ulteriori orizzonti per investitori e operatori. Per i venture capitalist e i corporate che investono in queste startup, il settore mobilità sostenibile offre sia un impatto ambientale tangibile (dato che i trasporti contano per ~15-20% delle emissioni globali) sia opportunità di rendimenti elevati man mano che nuove filiere – dalla filiera delle batterie al mercato dei carburanti puliti per aerei e navi – acquistano valore.

Opportunità di mercato e sfide all’orizzonte

L’ascesa delle startup climate tech rappresenta dunque una straordinaria opportunità sia per affrontare l’emergenza climatica sia per generare valore economico. I governi di tutto il mondo stanno implementando politiche e incentivi a supporto della transizione (dall’IRA negli USA al Green Deal europeo), mentre le grandi aziende si impegnano su obiettivi di net-zero aprendo spazi di mercato per soluzioni innovative. In questo contesto, investitori e imprenditori vedono nelle climate tech startup una frontiera di crescita di lungo periodo. Come evidenziato, il capitale affluito è già ingente e continuerà a crescere: nuovi fondi dedicati nascono ogni mese e persino investitori tradizionali di private equity e infrastrutture stanno entrando nel gioco, portando capitali più consistenti per scalare tecnologie ormai mature. Il mercato si sta insomma spostando dalla fase pionieristica (R&D e prototipi) a una fase di implementazione su larga scala, in cui servono investimenti massicci per costruire impianti, fabbriche e reti pulite.

Tuttavia, insieme alle opportunità emergono anche sfide importanti che queste startup – e i loro sostenitori – devono affrontare per avere successo. Di seguito, riepiloghiamo le principali sfide e fattori critici da tenere presenti:

  • Alti costi di ricerca e sviluppo: molte tecnologie climate tech richiedono investimenti R&D ingenti in hardware, materiali e testing (ben più costosi dello sviluppo di software tradizionale). Sviluppare una nuova batteria, un reattore per idrogeno o un impianto di carbon capture può costare decine di milioni solo per arrivare a un prototipo funzionante. Questo significa che le startup del settore bruciano capitale rapidamente e devono spesso affidarsi a round di finanziamento più consistenti o a sovvenzioni pubbliche per portare un’innovazione dal laboratorio al mercato.
  • Barriere normative e iter autorizzativi: cleantech e progetti climatici operano in aree pesantemente regolamentate (energia, trasporti, ambiente). Una startup dell’energia rinnovabile può scontrarsi con lungaggini autorizzative per impianti e reti; chi sviluppa carburanti o soluzioni di carbon capture deve navigare normative ambientali stringenti e spesso frammentate per regione. Questi ostacoli regolatori possono rallentare l’implementazione e aumentare i costi, richiedendo alle startup competenze legali e di lobbying non comuni ad altri settori tech.
  • Necessità di partnership per scalare: molte soluzioni climate tech hanno natura sistemica – ad esempio, un’innovazione nelle batterie richiede di collaborare con case automobilistiche e utility elettriche; un biofertilizzante va integrato nelle pratiche di grandi aziende agricole. Di conseguenza, le startup devono stringere alleanze con attori incumbent per poter testare e adottare le loro tecnologie su vasta scala. Costruire queste partnership da zero è difficile per un’azienda giovane, e questo a volte frena la crescita non per mancanza di validità tecnologica ma per complessità nell’ecosistema industriale.
  • Tempi di ritorno e pazienza del capitale: contrariamente alle startup digitali, molte climate tech startup hanno orizzonti di realizzazione più lunghi. Portare un impianto industriale in produzione o una nuova infrastruttura online può richiedere 5-10 anni, mentre gli investitori VC tradizionali preferiscono exit in 7 anni o meno. C’è quindi un mismatch naturale tra i tempi finanziari e quelli tecnici. Sebbene l’interesse degli investitori sia alto, molte startup climatiche faticano ancora a reperire capitali nelle fasi iniziali proprio perché i venture capitalist cercano spesso ritorni rapidi. Servono capitali pazienti (fondi pubblici, family office orientati all’impatto, project finance, green bonds) per integrare o sostituire il venture tradizionale nelle fasi di crescita, altrimenti si rischia il cosiddetto valley of death tra il prototipo e la commercializzazione.
  • Concorrenza e maturità del mercato: con l’aumento dei capitali, è cresciuto anche il numero di startup climate tech in circolazione, portando a maggiore concorrenza. Se nel 2021 bastava avere un’idea “green” accattivante per ottenere fondi, oggi gli investitori sono più selettivi: le proposte meno solide non trovano più finanziamenti facili, mentre i progetti davvero eccezionali e con valore aggiunto concreto continuano a raccogliere capitali. Inoltre alcuni segmenti stanno consolidandosi: ad esempio, nel settore delle auto elettriche molte startup non hanno retto alla sfida con i grandi OEM (si pensi ai casi di Nikola o Lordstown Motors), mentre nell’agritech come detto alcuni hype (es. carne plant-based) si sono ridimensionati. Ciò sottolinea l’importanza per le startup di avere vantaggi competitivi chiari e modelli di business sostenibili, oltre alla narrativa green.

Nonostante queste sfide, i segnali complessivi per il climate tech rimangono estremamente positivi. Il mercato sta maturando: a testimonianza, si registrano exit di successo (IPO e acquisizioni) che danno fiducia agli investitori di poter monetizzare gli sforzi – ad esempio la recente IPO da oltre $1 miliardo della società di energy storage ESS Tech, o l’acquisizione di Opus 12 (fuel da CO₂) da parte di Lanzatech. Inoltre, l’attenzione politica e sociale verso il clima garantisce che la domanda di soluzioni innovative resterà elevata a lungo termine, indipendentemente dalle oscillazioni congiunturali. Come ha osservato un venture capitalist del settore, “tutti ormai sentono gli effetti del cambiamento climatico e questo dà una motivazione ad agire che prima non c’era”. In parallelo, molte tecnologie verdi stanno diventando competitive nei costi: solare, eolico e auto elettriche sono già mainstream, e prossimi all’affermazione potrebbero essere idrogeno, batterie avanzate e combustibili sostenibili.

Per gli investitori, partecipare all’ascesa delle startup climate tech significa non solo contribuire a un futuro più sostenibile, ma anche posizionarsi nei settori destinati a trainare l’economia nei decenni a venire. I capitali record affluiti finora sono solo l’inizio: con l’urgenza climatica che cresce e con opportunità di business che vanno dalle energie rinnovabili ai materiali innovativi, dall’agricoltura al carbon capture, le prospettive restano ampie. I prossimi “unicorni verdi” potrebbero ridefinire intere industrie e premiare generosamente chi avrà creduto in loro. Come spesso accade nelle rivoluzioni tecnologiche, ci saranno sfide e qualche fallimento lungo la strada, ma la direzione è tracciata: l’innovazione climate tech sta passando da nicchia a motore centrale di sviluppo, segnale che la rivoluzione verde del capitalismo è non solo possibile ma in pieno svolgimento. Le startup climate tech, con il sostegno di investitori, corporate e policy mirate, continueranno a crescere e a innovare – e la vera sfida sarà assicurarsi di far parte di questa nuova ondata prima che diventi il nuovo status quo.

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Federico Lobuono è il Presidente de La Giovane Roma, membro dell’Ufficio di Gabinetto del Sindaco di Roma, consulente per il settimanale l’Espresso e il mensile Forbes, eletto nella direzione della Federazione…