L’egemonia non si misura più solo in armamenti o PIL
Nel mondo multipolare di oggi, il potere non si esercita solo con la forza militare o l’imponenza economica. Sempre più spesso, il vero vantaggio competitivo di un Paese risiede nella sua capacità di attrarre, ispirare e orientare comportamenti a livello globale. È il cosiddetto soft power, un potere fatto di cultura, valori, media, tecnologia. E oggi questo potere si manifesta, prima di tutto, attraverso le piattaforme digitali.
Chi controlla l’algoritmo, controlla l’agenda
Le grandi piattaforme tecnologiche sono diventate nuove forme di infrastruttura ideologica. Attraverso algoritmi opachi ma potentissimi, decidono cosa vediamo, cosa sappiamo, cosa ignoriamo. TikTok, Instagram, YouTube e X (ex Twitter) non sono solo ambienti di intrattenimento: sono dispositivi culturali che modellano desideri, identità, paure. Il soft power digitale non ha più bisogno di essere esplicito. Agisce in modo distribuito, invisibile, ma profondo.
La nuova diplomazia delle Big Tech
Non è un caso che i leader delle grandi aziende tecnologiche siano diventati attori geopolitici. Mark Zuckerberg, Elon Musk e Sundar Pichai incontrano capi di Stato, partecipano ai vertici internazionali, influenzano decisioni politiche. Le loro piattaforme sono il terreno su cui si gioca il consenso globale. I governi, sempre più spesso, non dialogano solo tra loro ma anche con le corporation digitali, consapevoli che il controllo del codice è oggi più strategico del controllo delle frontiere.
Cultura pop e influenza globale
Lo storytelling è un’arma potente. Serie Netflix, videoclip virali, meme politici: la cultura digitale americana – o cinese, nel caso di TikTok – ha invaso ogni angolo del pianeta, ridefinendo simboli e codici. Anche l’Italia, pur con meno risorse, sta riscoprendo la propria capacità di influenza culturale attraverso il digitale: dalla moda al cibo, dal design al cinema, l’italianità continua a generare valore grazie alla sua risonanza simbolica. Ma serve strategia, visione e capacità di presidiare le piattaforme con linguaggi nativi.
L’informazione è il nuovo territorio conteso
La guerra in Ucraina, la questione israelo-palestinese, le tensioni tra Cina e Taiwan: ogni conflitto oggi si combatte anche online, dove l’informazione è frammentata, accelerata, manipolabile. Le piattaforme digitali sono diventate arene di battaglia per la verità, in cui la capacità di orientare l’attenzione pubblica è decisiva quanto il controllo di un territorio. Le campagne di disinformazione e le interferenze digitali sono parte integrante delle strategie di potere. In questo contesto, la cyber-sovranità e la sicurezza dei dati sono temi sempre più centrali per i governi e le imprese.
L’Europa e la sfida della regolazione
L’Unione Europea sta cercando di posizionarsi come potenza normativa, proponendo leggi ambiziose come il Digital Services Act e il Digital Markets Act. La sua forza, in mancanza di giganti tecnologici autoctoni, risiede nella capacità di definire regole globali. Ma sarà sufficiente? Senza una strategia di produzione tecnologica autonoma, il rischio è che l’Europa resti un arbitro senza squadra, mentre Stati Uniti e Cina giocano la partita del potere digitale.
Un potere che va esercitato consapevolmente
Il soft power digitale è una leva formidabile, ma anche una responsabilità enorme. Le aziende che operano in questo campo – dai social network alle piattaforme di contenuti, dai motori di ricerca agli sviluppatori di IA – devono rendersi conto del ruolo che esercitano nel mondo. Non basta più parlare di neutralità tecnologica. Il codice è politica. Gli algoritmi sono scelte. E chi progetta queste infrastrutture deve assumersi la responsabilità del loro impatto sociale, culturale, democratico.
Conclusione: potere senza visione non è influenza, è rumore
In un’epoca in cui tutto è connesso, chi saprà combinare tecnologia e immaginazione, infrastruttura e narrazione, sarà in grado di orientare il futuro. L’influenza non passa più (solo) dai microfoni dell’ONU o dalle basi militari: passa dagli schermi degli smartphone. E la leadership del XXI secolo si misurerà anche – e soprattutto – nella capacità di immaginare un soft power digitale più etico, plurale e inclusivo.