Il mondo del lavoro è in continua evoluzione, da sempre, questo grazie alle costanti innovazioni tecnologiche che ci sono state nel corso della storia. L’automazione e l’intelligenza artificiale stanno ridisegnando le competenze richieste, sostituendo mansioni ripetitive e creando nuove opportunità.
Tuttavia, non tutti sono entusiasti di questo cambiamento che sta sollevando interrogativi su come le persone si adatteranno a questi nuovi ruoli e se i lavoratori meno qualificati saranno lasciati indietro.
Lo “smart working”, noto anche come “lavoro agile”, consente una maggiore flessibilità e autonomia nella scelta di spazi, orari e strumenti di lavoro, favorendo anche un più alto grado di responsabilizzazione sui risultati. Durante il periodo del COVID-19, un numero crescente di aziende ha iniziato a far lavorare i propri dipendenti da remoto, spostando le attività dalle scrivanie degli uffici alle abitazioni.
Uno degli studi più citati a sostegno dei benefici del lavoro da remoto è stato condotto da Nicholas Bloom, professore di economia a Stanford. Le sue ricerche indicavano che i dipendenti che lavoravano da casa erano il 13% più efficienti rispetto ai loro colleghi in ufficio. Le piattaforme di videoconferenza come Zoom, Teams e Google Meet hanno dominato per almeno tre anni, sostenute da opinioni favorevoli, studi e commenti positivi.
Tuttavia, un dettaglio importante sottolineato dallo stesso Bloom spesso passava inosservato: la produttività dei lavoratori remoti aumentava solo a due condizioni, ossia che il lavoro da casa fosse volontario e che alla fine della settimana ci si incontrasse comunque in ufficio per discutere dei nuovi progetti attorno a un vero tavolo. Ora, molte aziende stanno richiamando i dipendenti negli uffici, incluso Zoom che è diventato il simbolo dello smart working, che sta chiedendo ai suoi dipendenti di tornare a lavorare parzialmente in presenza.
La gig economy, nota anche come “lavoro a chiamata”, è una tendenza in continua crescita, con un numero sempre maggiore di persone che optano per lavori freelance o temporanei. Questo modello offre una maggiore flessibilità e autonomia, permettendo ai lavoratori di gestire il proprio tempo e scegliere i progetti che meglio si adattano alle loro esigenze. Tuttavia, questa flessibilità comporta anche incertezze economiche e una mancanza di benefici tradizionali come pensioni, assicurazioni sanitarie, e ferie retribuite.
Inoltre, i lavoratori della gig economy spesso affrontano una competizione globale più intensa, poiché molte piattaforme digitali consentono a chiunque di lavorare da qualsiasi parte del mondo. Di conseguenza, l’importanza dell’upskilling e del reskilling è in aumento, poiché i lavoratori devono aggiornare e ampliare continuamente le proprie competenze per rimanere competitivi in un mercato del lavoro in rapida evoluzione. Questo contesto rende cruciale lo sviluppo di politiche di sostegno e formazione continua, affinché i lavoratori possano adattarsi e prosperare in un’economia sempre più dinamica e interconnessa.
Il report del World Economic Forum del 2020 prevede che l’adozione delle nuove tecnologie basate sull’IA comporterà la perdita di circa 85 milioni di posti di lavoro entro il 2025. Tuttavia, si stima che nello stesso periodo verranno creati 94 milioni di nuovi posti di lavoro. Questo implica che per rimanere competitivi con l’avvento delle nuove tecnologie sarà fondamentale acquisire competenze innovative, che saranno essenziali per i lavori del futuro. Entro il 2030, si prevede che l’85% dei laureati svolgerà un lavoro che attualmente non esiste.
La tecnologia non si limiterà a sostituire i lavori esistenti, ma li completerà e li ridefinirà. Le lunghe giornate passate a lavorare su fogli di calcolo, a elaborare dati o a gestire le richieste dei clienti non saranno più necessarie, poiché questi compiti saranno semplificati dalle macchine. Ciò permetterà ai lavoratori di concentrarsi su attività più complesse che richiedono il contributo umano.
L’intelligenza artificiale sarà un potente motore per aumentare la produttività dei sistemi economici. In un recente sondaggio condotto dall’OCSE, che ha coinvolto 5.334 lavoratori e dirigenti di 2.053 aziende nei settori manifatturiero e finanziario di alcuni Paesi, è emerso che il 20% dei lavoratori del settore finanziario e il 15% di quelli del settore manifatturiero conoscono qualcuno all’interno della propria azienda che ha perso il lavoro a causa dell’IA. Inoltre, il 19% dei lavoratori della finanza e il 14% di quelli della manifattura hanno dichiarato di essere molto preoccupati di perdere il lavoro nei prossimi dieci anni. C’è anche la diffusa aspettativa che l’aumento dell’uso dell’IA porterà a salari più bassi in futuro. Queste preoccupazioni potrebbero alimentare resistenze da parte dell’opinione pubblica e della politica, ostacolando la creazione di un ecosistema favorevole all’innovazione.