Uno sguardo sulla 19. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia
Partecipare alla 19. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, Intelligens. Naturale. Artificiale. Collettiva., a cura di Carlo Ratti, significa immergersi in un esperimento globale sull’intelligenza del costruire. Quest’anno la città si è trasformata in una piattaforma di pensiero collettivo, dove la tecnologia dialoga con la sensibilità umana e la conoscenza si fa architettura.
Il tema proposto interroga il ruolo dell’intelligenza nelle sue tre forme, naturale, artificiale e collettiva, suggerendo che l’architettura non sia solo un fatto materiale, ma un processo cognitivo condiviso. In questa prospettiva, progettare equivale a pensare insieme: costruire reti e non solo muri.
Il Padiglione Venezia, con la mostra Biblioteche. Costruendo l’intelligenza veneziana curata dall’Università Iuav, rappresenta il cuore concettuale dell’Esposizione. Qui l’architettura si presenta come archivio vivente, come mente urbana in continuo apprendimento. Le facciate delle biblioteche veneziane, attraversate ogni giorno da chi studia e ricerca, accompagnano le 26 nuove pubblicazioni Iuav, componendo un racconto corale del sapere. È una Venezia che riflette, registra e rielabora, una città che pensa attraverso i suoi spazi.
Le sedi universitarie ampliano il discorso con mostre su sostenibilità, ricerca e memoria progettuale, mentre al Magazzino 6, ex Ligabue, la mostra The Open Work restituisce al pubblico l’attualità visionaria di Giancarlo De Carlo. I materiali inediti esposti raccontano un’idea di architettura come pratica aperta e partecipata, fondata sul dialogo e sull’interazione tra spazi e persone.
Il Leone d’Oro per la miglior Partecipazione Nazionale è stato assegnato al Padiglione del Regno del Bahrain con Heatwave, curato da Andrea Faraguna e coordinato dal commissario Shaikh Khalifa bin Ahmed bin Abdullah Al Khalifa. L’allestimento, ospitato all’Arsenale, affronta le implicazioni ambientali, architettoniche e sociali delle ondate di calore estremo, trasformandosi in un laboratorio di strategie climatiche vernacolari e contemporanee per progettare spazi pubblici sicuri per chi li attraversa e vive quotidianamente. Dai badgir tradizionali alle superfici riflettenti, Heatwave ricorda che l’evoluzione tecnologica non può esistere senza quella umana: ogni innovazione trova senso solo se agisce in armonia con la giustizia sociale e con i diritti di chi abita, lavora e crea.
In questo dialogo globale si inserisce con forza il padiglione del Regno Unito, GBR: Geology of Britannic Repair, curato da Owen Hopkins, Kathryn Yusoff, Kabage Karanja e Stella Mutegi. L’esposizione indaga il ruolo dell’architettura all’interno degli “imperi della geologia” ancora attivi, dove le pratiche estrattive hanno plasmato secoli di disuguaglianza, ingiustizia e degrado ambientale. Il padiglione propone una riflessione sul potenziale riparatore della disciplina, trasformando la materia in strumento di riscatto. Argilla, vetro, sabbia e minerali provenienti da ex territori coloniali compongono una geografia materiale che invita a ripensare il rapporto tra terra e costruzione. Il padiglione diventa così un atto di responsabilità, un gesto di restituzione in cui l’architettura si fa medium di riconciliazione tra essere umano e pianeta.
L’Austria risponde con Agency for Better Living, un progetto che pone al centro il diritto all’abitare come fondamento dell’intelligenza collettiva. Curato da Sabine Pollak, Michael Obrist e Lorenzo Romito, il padiglione mette in relazione due modelli opposti di città: la Vienna delle politiche abitative pubbliche e Roma, con le sue pratiche informali e autogestite. Attraverso installazioni, laboratori e incontri, l’esposizione si trasforma in un’agenzia reale e simbolica per il “miglior vivere”, un luogo dove cittadinanza e istituzioni possono negoziare nuovi modi di pensare lo spazio condiviso. È un invito a riscoprire il valore politico dell’architettura, intesa non come prodotto finito ma come processo di cura collettiva.
Questa Biennale non celebra dunque la macchina, ma la relazione. Non solo l’efficienza del calcolo, ma la responsabilità dell’immaginazione. In un’epoca in cui ci si chiede se l’intelligenza artificiale possa superare quella umana, la 19. Mostra internazionale di Architettura della Biennale di Venezia riafferma che il futuro dell’architettura dipende dalla loro alleanza. L’artificio non sostituisce il progetto, lo amplifica; aiutando a vedere ciò che non è visibile, a misurare l’impatto dei propri gesti, a costruire con maggiore consapevolezza. Ma è solo attraverso l’empatia, la consapevolezza e il dialogo trasversale che la tecnologia può diventare veramente intelligente. Venezia, ancora una volta, si fa specchio di questo equilibrio fragile e necessario: un luogo dove la mente collettiva dell’umanità prova a immaginare nuovi possibili scenari di convivenza.