“Lascio tutto e vado a fare il contadino! È veramente così semplice per un giovane costruire la propria azienda agricola?”
Non è raro, sfogliando i giornali, imbattersi in racconti di ragazze e ragazzi che hanno scelto di lasciare la città, gli studi o il lavoro, per andare a vivere in campagna e iniziare a fare gli agricoltori.
La frequenza con cui si leggono queste storie suggerirebbe che il mondo agricolo italiano sia animato principalmente da giovani. Tuttavia, i dati, consultabili all’interno del “Rapporto Giovani 2024” di Ismea, ci dicono che solo il 7.5% delle aziende agricole Italiane è condotta da under 40, mentre il 35% è guidato da over 65.
Nonostante i dati sull’età degli imprenditori siano desolanti, è importante evidenziare che le aziende agricole giovanili contribuiscono al 15% del valore aggiunto prodotto dall’agricoltura italiana e che più del 50% di queste si trovano al sud.
L’Unione Europea sostiene attivamente l’insediamento di giovani in agricoltura, destinando ingenti risorse ogni anno per fornire loro un sostegno a fondo perduto.
In Toscana, ad esempio, attraverso il bando “GiovaniSì”, sono stati assegnati, tra il 2022 e il 2024, più di 15 milioni di euro per questa finalità.
Promuovere l’ingresso dei giovani nel settore agricolo è una scelta strategica e lungimirante. I dati precedentemente citati dimostrano chiaramente che il contributo economico apportato dalle nuove leve è proporzionalmente il doppio rispetto all’incidenza numerica sul totale delle imprese agricole.
I vantaggi non si fermano solo a questo aspetto: le aziende gestite da under 40 mostrano una maggiore propensione all’investimento, alla ricerca e all’innovazione, che diventa fondamentale in un contesto in cui l’agricoltura dovrà evolversi per non sopperire di fronte al cambiamento climatico. (di questo avevo parlato nel mio precedente articolo)
I giovani imprenditori agricoli sono mediamente più predisposti a rivoluzionare le loro pratiche, non fermandosi al “si è sempre fatto così”.
Eppure, nonostante gli sforzi dell’UE, i giovani italiani faticano a inserirsi nel settore primario.
Il primo elemento ostativo è connesso alla necessità d’impiegare ingenti capitali al fine d’intraprendere un’iniziativa imprenditoriale all’interno di questo settore.
Ad eccezione di pochi casi, per fare agricoltura servono cifre elevate, che vengono sostenute solo parzialmente da finanziamenti pubblici, e che difficilmente vengono ottenute tramite prestiti bancari, vista la bassissima propensione della finanza tradizionale a sostenere i giovani che scelgono di investire in questo settore.
Il risultato di questa imponente barriera all’ingresso è che i giovani in agricoltura sono, nella gran parte dei casi, figli di altri agricoltori.
Oltre a ciò, si pone il serio problema della redditività del settore, che troppo spesso è compromessa da eventi atmosferici estremi e da una filiera che non riconosce prezzi giusti ai produttori primari.
Infine, il mondo agricolo è troppo spesso in mano a persone con i capelli bianchi, che, nei fatti, non si fidano di giovani e donne, e solo raramente li aiutano ad inserirsi.
Inevitabilmente, il naturale ricambio generazionale farà si che i giovani agricoltori prendano il sopravvento rispetto a chi è più anziano, perché le limitazioni fisiche lo imporranno.
È necessario però che questo passaggio di testimone avvenga in maniera armoniosa, mettendo i più giovani nelle condizioni di ottenere lo spazio che meritano e una giusta remunerazione.