Il mondo è in continua trasformazione e, con esso, si evolvono le nostre vite, le abitudini quotidiane e la società nel suo complesso. L’intelligenza artificiale rappresenta una delle novità più importanti di questo cambiamento, portando le nuove generazioni a interrogarsi sul futuro del lavoro, sulle prospettive occupazionali e, non da ultimo, sulle implicazioni etiche legate all’uso di tali tecnologie.
Una questione di produttività e competenze
Le macchine sostituiranno gli esseri umani? Sì, in un certo senso. Ma anche no. Tutto dipende da cosa intendiamo con il termine “sostituire”. Da un lato, si tratta di una questione di mercato, o meglio, di competenze. In un contesto in cui la produttività dei Paesi occidentali – in particolare Europa e Stati Uniti – tende a rallentare, si assiste a trasformazioni nella domanda di lavoro, influenzate in parte dall’ingresso dell’intelligenza artificiale nei processi produttivi.
Proprio in queste aree del mondo, dove l’invecchiamento della forza lavoro è più marcato rispetto ai Paesi in via di sviluppo (caratterizzati da una popolazione mediamente più giovane), cresce la richiesta di competenze digitali e, in particolare, di abilità legate all’uso di software e strumenti basati sull’intelligenza artificiale. Secondo le previsioni, tale tendenza è destinata ad accentuarsi nei prossimi anni. Se l’Europa sceglierà consapevolmente di puntare su una strategia orientata al futuro – fondata sul reimpiego proattivo dei lavoratori e sulla loro riqualificazione – potrebbe raggiungere un tasso di crescita annuale della produttività fino al 3% entro i prossimi cinque anni.
In questo scenario, il ruolo delle università, dei centri di ricerca e delle stesse imprese diventa cruciale: sono loro i principali attori nella formazione (e riformazione) di dipendenti e nuovi professionisti, capaci di operare in un contesto lavorativo sempre più tecnologico. Le stime indicano che entro il 2030 circa il 30% delle ore lavorative potrebbe essere automatizzato grazie all’intelligenza artificiale. Ciò significa che queste tecnologie potrebbero effettivamente sostituire l’uomo in alcune mansioni o che assumeranno, almeno, una funzione di supporto, ampliando le capacità umane. Di conseguenza, si renderà necessaria una formazione continua della forza lavoro, così da creare nuove opportunità professionali, più qualificate e specializzate.
Il ruolo dell’istruzione
Non trascurabile, in questo contesto, il ruolo delle università e dai centri di formazione. Anzi, con il disegno di legge n. 46 attualmente all’esame del Parlamento, il Governo ha introdotto una specifica delega per integrare lo studio dell’IA nei diversi gradi del sistema educativo, comprendendo anche i licei. Le competenze richieste dai nuovi scenari occupazionali si articolano in diversi ambiti disciplinari. Come prevedibile, i percorsi formativi più coinvolti sono quelli legati alle materie STEM, senza però dimenticare le implicazioni etiche, filosofiche e politiche dell’intelligenza artificiale, evidenziando la necessità di un approccio multidisciplinare sul tema.
L’Italia si è mostrata sin da subito attenta a queste dinamiche, promuovendo la formazione di capitale umano capace di utilizzare consapevolmente ed efficacemente le tecnologie del nuovo millennio. Un esempio è l’Università di Torino, considerata la punta di diamante nelle discipline sull’intelligenza artificiale.
Allo stesso modo, il Politecnico di Milano ha attivato un corso di laurea magistrale in Artificial Intelligence and Data Engineering, registrando oltre 1.000 candidature per soli 180 posti disponibili. Anche il Mezzogiorno si sta affermando come terreno fertile per l’innovazione in campo di IA. Il Politecnico di Bari, in particolare, ha preso parte a un progetto in collaborazione con Microsoft, offrendo percorsi formativi sull’intelligenza artificiale strutturati attraverso lezioni frontali, moduli online e laboratori con esperti del settore.
Gli sforzi che l’ateneo pugliese ha impiegato in questi anni per potenziare le proprie capacità didattiche portano, oggi, dei risultanti importantissimi: il Politecnico ha raggiunto un tasso di occupazione a cinque anni dalla laurea del 96,5%, il più alto in Italia.
Un approccio etico dell’IA
Appare, dunque, evidente quanto sia cruciale per le generazioni future acquisire consapevolezza sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Non si tratta soltanto di una questione legata al mondo del lavoro: l’IA solleva importanti interrogativi che riguardano direttamente la sfera personale, sociale e culturale degli individui, in particolare dei più giovani, i quali rischiano — se privi degli strumenti critici adeguati — di divenire vittime del mondo digitale.
I giovani dimostrano, già oggi, una spiccata sensibilità verso molte delle sfide del nostro tempo: il cambiamento climatico, i diritti umani, la tutela della privacy, la lotta alla disinformazione. Tutte queste tematiche si intrecciano perfettamente con l’intelligenza artificiale. In Italia, infatti, negli ultimi anni, è emersa, seppur in dimensioni ridotte, una vivace rete di startup a conduzione giovanile, che ha scelto di mettere l’etica e la sostenibilità al centro della propria agenda imprenditoriale.
Un esempio concreto è rappresentato da progetti come PicTrue, che mira ad attestare l’autenticità di contenuti multimediali – come una sorta di sigillo di garanzia –, contrastando l’uso improprio di software di intelligenza artificiale per la creazione di contenuti manipolati. Strumenti come questo sono essenziali per arginare fenomeni sempre più diffusi di deepfake, in grado di compromettere la reputazione, l’identità e persino la sicurezza delle persone.
Conclusioni
Insomma, il futuro dell’intelligenza artificiale, e delle conseguenti implicazioni etiche, sembra essere nelle mani delle generazioni future. Oggi, il futuro del lavoro ha aperto le porte a questa nuova tecnologia. E noi tutti, società civile e istituzioni, non possiamo permetterci di negare il potenziale che il progresso ha da offrirci.