Il mercato del lavoro sta attraversando una crisi sistemica che rischia di portarlo al collasso: tra le cause principali, una chiusura ermetica nei confronti delle giovani generazioni, che vivono in condizione di precarietà e, in alcuni casi, vero e proprio sfruttamento.
Un mercato del lavoro in crisi sistemica
Un’indagine dell’Ispettorato del Lavoro di Milano ha rilevato che nel 2023 il 78% delle aziende controllate presentava irregolarità sotto l’aspetto del lavoro nero, con punte dell’85% nel settore terziario.
Secondo un’analisi della Corte dei Conti Europea, circa un terzo dei tirocinanti nel mercato del lavoro non è retribuito. Il tirocinio, troppo spesso, si trasforma in uno strumento opaco. Consente di ottenere manodopera qualificata senza assumerla, alimentando un ciclo a rotazione continua. Forze fresche vengono immesse nell’ingranaggio, senza alcuna prospettive di stabilizzazione.
Tiene banco poi la questione dei salari, dirimente per la competitività internazionale: in Italia, lo stipendio medio annuo lordo è di circa 33.277 euro, al di sotto della media europea di 39.825 euro. Tra il 2011 e il 2023, circa 550.000 giovani italiani tra i 18 e i 34 anni sono emigrati all’estero, con un saldo netto di 377.000 dopo i rientri. Si stima che il valore del capitale umano perso sia di circa 134 miliardi di euro. Questi numeri sono drammatici.
Il nodo irrisolto del ricambio di governance
Alla base di questa crisi vi è un’incapacità strutturale di gestire le transizioni generazionali.
Gestire tali cambiamenti naturali in maniera lungimirante implica una forte attitudine all’ascolto e alla volontà di responsabilizzazione dei giovani che invece mostrano attitudine al rischio e all’innovazione.
L’imprenditorialità giovanile è in forte declino: negli ultimi dieci anni, l’Italia ha perso oltre 153.000 imprese guidate da under 35. Oggi il 56% degli imprenditori italiani ha più di 50 anni, mentre il sistema produttivo resta ancorato ad un modello familiare ed autoreferenziale. Le PMI familiari rappresentano circa l’80% delle imprese nel Paese e coprono un fatturato di circa il 42% del totale. Come le grandi dinastie di imprenditori sono decadute a causa della mancata volontà ad aprirsi a modelli manageriali che privilegiassero il merito e non l’appartenenza dinastica, così le imprese medie e piccole faticano ad evolvere e a favorire il cambio di governance.
Una nuova dottrina per il futuro del lavoro
In che direzione agire? Occorre sviluppare una nuova dottrina imprenditoriale nazionale, che valorizzi non solo le eccellenze di pochi, ma che sappia riconoscere gli spazi adeguati ad una generazione di eterni giovani e proietti il Paese verso un futuro di competitività e successo.
Perché non immaginare incentivi per chi innova la governance? Ad esempio tramite l’accesso prioritario a fondi e bandi pubblici per quelle imprese che dimostrano una composizione generazionale equilibrata nei consigli di amministrazione, e che assumono giovani con contratti stabili. Occorre quindi introdurre in maniera strutturale il concetto di generational diversity.
Su base volontaria ma incentivata, le aziende potrebbero adottare meccanismi statutari che promuovano il ricambio periodico delle cariche aziendali. Fondamentale poi è sostenere, a tutti i livelli, modelli di collaborazione permanente tra mondo accademico e imprenditoriale. Non solo nei settori tecnologici e STEM, ma anche in quello della cultura, dell’arte, della storia, dell’archeologia. E ancora, occorre dare prospettiva ai programmi di rientro dei cervelli, ben indirizzati ma ancora sotto-finanziati.
Idee nuove per un Paese che invecchia
Tanti sono i giovani che, espatriati per ricercare fortune nei loro rispettivi settori (emblematico è il tema dei ricercatori), potrebbero contribuire ad un avanzamento del mondo del lavoro. È fondamentale immaginare spazi di co-decisione, affiancando ai CdA tradizionali Young Advisory Boards, capaci di portare idee innovative e di far fronte alle problematiche del lavoro giovanile senza minacciare l’equilibrio aziendale.
La corsa verso la competitività internazionale – nel contesto fragile – di oggi non ci consente di sacrificare ulteriori risorse. Ciò che è certo è che, in un mondo che cambia così in fretta, non si può governare il domani con la mentalità di ieri.